Inchiesta o pregiudizi su Gesù?

mercoledì 7 marzo 2007 alle 21:18
Un commento del prof. G. Segalla in proposito:


Una “Inchiesta su Gesù” pregiudiziale

Un libro su Gesù che spopola le classifiche dei libri venduti e si presenta con cumuli di copie nelle librerie, attrae l’attenzione del pubblico. Dico subito che questo libro non è da porre sulla stessa linea del “Codice da Vinci” di Dan Brown che pure ha spopolato qualche anno fa e lo continua con il film che ad esso si ispira (su questo mi permetto di non essere d’accordo con R. Cantalamessa). Quello di Brown è frutto di una astuta invenzione ed è criticato dal Pesce alle pp. 230-31. “Il vero veleno di Brown è la falsificazione di tutti i documenti che fa finta di utilizzare e l’invenzione totale che considera un rito sessuale il centro dell’unione con Dio e concepisce tutta la storia in chiave occultista” (M. Pesce).

L’ “Inchiesta su Gesù” di Augias-Pesce è un libro di due autori di cui il principale (anche se ha meno testo) è Augias, mentre l’intervento di Pesce gli è subordinato, ancorché critico. Augias è il “curioso”, che chiede allo storico M. Pesce di farlo entrare nel cantiere della ricerca storica attuale su Gesù. Purtroppo le introduzioni ad ogni capitolo che danno quasi la chiave interpretativa sono di Augias.

Dico in poche parole le tesi dei due autori per passare poi alla metodologia storica seria e ad una breve riflessione su di essa per quanto riguarda il Gesù storico. Consiglierei chi deve ancora leggere il libro di iniziare dalla fine, dalle due postfazioni che riassumono in breve la posizione dei due autori.

Augias è chiaramente uno scettico razionalista che usa la ragione non in senso critico, ma illuminista. Egli afferma: “La plausibilità di tale ipotesi che cerca di armonizzare il dato dei fratelli di Gesù e della concezione verginale di Maria dal punto di vista razionale (per chi vuole esaminarli con questo solo criterio – ovviamente lui!) gli sforzi risultano più generosi che convincenti” (p. 109-110). Dimostra di essere culturalmente arretrato per il fatto che si richiama a Voltaire e a Renan, due autori illuministi ormai da un bel pezzo nel passato; la storia della prima ricerca, scettica sul Gesù storico è stata già magistralmente scritta dal grande A. Schweitzer, che ne ha messo una pietra tombale sopra, dimostrando che gli studiosi del Gesù storico vedevano nel pozzo della ricerca la loro stessa immagine più che non quella di Gesù; ciò vale anche per Augias; ma Augias ignora questo libro fondamentale per la ricerca sia nel testo che nella bibliografia (purtroppo anche M. Pesce lo ignora). Per di più cade in errori elementari come quando a p. 243 afferma “Com’era il Dio che nel roveto ardente consegnò a Mosè le tavole della Legge” (!). Insomma Augias usa la ragione non in modo critico ma in modo ideologico; basti vedere come dia più peso ai vangeli apocrifi, più recenti che non a quelli canonici, più antichi contro ogni regola elementare di critica storica o a ipotesi di un Gesù rivoluzionario o omosessuale puntualmente smentite da M. Pesce.

M. Pesce invece è uno storico serio che pensa di poter tenersi lontano sia dalla fede sia da una pregiudiziale scettica: “Sono convinto che la ricerca storica rigorosa non allontani dalla fede ma non spinga neppure verso di essa” (p. 237). Come dirò dopo, il problema secondo me è posto male. Secondo Pesce, dunque, Gesù sarebbe stato un mistico visionario: aspettava prossimo il regno di Dio che avrebbe portato la pace e la giustizia definitiva sulla terra; perciò il suo messaggio era “inscindibilmente mistico e sociale” (p. 237), e la sua essenza sarebbe particolarmente riflessa nel vangelo di Luca. Positiva storicamente è la sua posizione sui miracoli e perfino sulla risurrezione (anche se indulge a spiegazioni psicologistiche). Sarebbe troppo lungo esaminare nei dettagli la sua tesi che arriva fino alla nascita del cristianesimo, in cui Gesù “ebbe un ruolo centrale e ineliminabile”(p. 201), mentre minimizza l’uso degli apocrifi per una storia di Gesù, anche se essi sono molto importanti per la storia delle origini del cristianesimo.

E veniamo infine a qualche riflessione di metodologia.

Anzitutto la terminologia. Andrebbe ben distinto il Gesù della storia che sta sempre aldilà di ogni ricerca per quanto agguerrita e il Gesù dello storico di turno; quando si parla di Gesù storico si pensa subito alla ricerca degli storici.

In secondo luogo in tale ricerca si deve certo usare con rigore critico il metodo storico, ben distinto da quello teologico: il teologo non deve proiettare la teologia posteriore sulle fonti storiche e farla passare come storia, ma neppure lo storico deve superare il suo ambito e riconoscere che i suoi risultati sono relativi e limitati, e la realtà non si identifica con il fatto storico (errore del positivismo storico); riconoscerà che non deve pretendere di spiegare tutto e d’altronde non deve mai dimenticare il principio di “ragion sufficiente”: ad esempio come si spiega la nascita entusiasta del cristianesimo senza il fatto straordinario della risurrezione? Infine, vorrei ricordare che il teologo come sono io è interessato alla storia di Gesù, perché oggetto o soggetto della teologia è una persona storica e non una idea o ideologia; perciò se anche metodo storico e metodo teologico sono e vanno ben distinti, il teologo tuttavia potrà criticare lo storico sul suo terreno, dimostrando che non ha applicato correttamente il metodo (l’avrei fatto anch’io per alcuni punti di questo libro se non fossi limitato dallo spazio); allo stesso modo anche lo storico potrà criticare il teologo quando volesse passare per storia quello che è teologia.

E per ultimo va detta chiaramente la povertà della storia intesa come fatti avvenuti (che sembra dominante in questo libro). La storia viene raccontata, anche quella di Gesù nei quattro vangeli, allora e ora perché ha un altissimo significato per me, per il mondo, per la storia presente e futura. Se si dimentica questo, non si fa più vera storia.

Chi volesse saperne di più mi permetto di rimandarlo al mio libro recente Sulle tracce di Gesù (cittadella, Assisi 2006), di cui “La Difesa” ha già parlato.

Giuseppe Segalla

2 commenti/domande

  1. Anonimo Says:

    Il libro non vale la carta su cui è stampato:
    1) smentisce sé stesso: il sottotitolo parla dell’ “uomo che ha cambiato il mondo”. Si suppone che il mondo sia cambiato per l’irruzione del Cristianesimo (che altro se no?). E invece si “danna l’anima” per convincerci che fu un ebreo che non disse nulla di cristiano! E allora? Chi fu a cambiare il mondo? Forse doveva scrivere di qualcun altro!
    2) una bibliografia insignificante. Vuole insegnare ai gatti a camminar sui tetti (ai cattolici cosa sia il Cattolicesimo), ma non un testo di un biblista “allineato”, cattolico o protestante che fosse, almeno per parlarne male. Neanche il Catechismo! ma i superatissimi Voltaire, Renan e Loisy, sì;
    3) Candidamente confessa che “… non essendo cattolico ho conoscenze solo marginali…[di cosa pensano i cattolici]” (pag. 22). E allora? Visto che c’era, perché non ha scritto un trattato di fisica nucleare?

  2. Anonimo Says:

    La critica, la storia e la società

    Non entro nella questione delle affermazioni scientifiche del libro, non essendone questa la sede. Ma osservo soltanto che, se si vuole pubblicare un'opera divulgativa sulla figura di Gesù secondo le attuali tendenze della critica, e mi sembra che se ne abbia tutto il diritto-, non capisco però che cosa Augias abbia non dico da dire sull'argomento, ma neppre da chiedere. L'argomento è complesso e delicato e, se lo si vuole affrontare nella forma di un dialogo, com'è appunto il caso di cui discutiamo, è richiesta competenza e preparazione non soltanto da parte di chi risponde alle domande ma anche da chi le pone. Ma queste sono osservazioni che il lettore farà da sé. Non entro neppure nella questione del "metodo storico" professato nel libro. Però non posso tacere che anche molte delle recensioni, positive o negative, che ho potuto leggere sul libro, non mi pare abbiano espresso con chiarezza qual è il loro pensiero sul "metodo storico" e suo suo corretto uso.
    Quest'osservazione mi permette così di entrare nella riflessione che vorrei proporre, riflessione a margine del libro di Augias-Pesce, la quale ha per oggetto "la critica", argomento di cui oggi non si parla quasi mai. Vediamo il perché. Per tutto l'Ottocento, e fino al primo Novecento, i problemi di metodo storico" sono stati il cuore di ogni ricerca scientifica degna di questo nome e tanto si è scritto sul problema all'epoca. Vuoi per studiare Atene e Sparta, vuoi per leggere i Vangeli, bisognava esercitarsi nell'uso di questa facoltà del pensiero. Quei pochi che potevano studiare, studiavano anzitutto questo: che cos'è "la critica" e come la si esercita sui fatti. E non si occupavano solo di Erodoto o Tucidide, ma discutevano di ogni problema della loro vita presente. Come si può infatti sottoporre al vaglio della critica le fonti di duemila anni fa se non si è capaci, o almeno non ci si esercita a esaminare criticamente i fatti ad se stessi più prossimi?
    Nella seconda metà del Novecento, invece, a quel sicuro bene che è stata la diffusione dell'istruzione - almeno in Europa- a tutti i livelli della società, non ha corrisposto anche una adeguata diffusione del senso critico nella società. In buona sostanza, tutti sanno leggere e scrivere ma non è detto che siano capaci di affrontare adeguatamente, cioé criticamente, i contenuti delle opere che ora possono leggere.
    Un esempio. Recentemente sono rimasto impressionato dall'esternazione di una maestra di scuola, peraltro mia amica, la quale, dopo aver letto "Il codice da Vinci", mi ha detto: "Se non avessi la fede, smetterei di credere alla Chiesa". Caso classico di chi oggi, e purtroppo non sono in pochi, sa leggere e scrivere ma, solo perché qualcosa è scritto in un libro, ci crede a prescindere di ciò che si dice.
    Questa è la situazione della società dinanzi alla critica. Se ci sono interessi materiali ed economici in ballo, tutti sanno esercitare la critica innata per stare attenti e sfuggire inganni del prossimo. Quando si passa ad ambiti culturali come la storia e la religione, allora avviene che un libro, magari scelto con bel titolo e buona copertina, come quello di cui discutiamo, mentre riscuote un successo enorme , è in grado di orientare come vuole la maggior parte dei suoi lettori, senza che questi neppure se ne avvedano.
    Questa situazione così difficile minaccia ora la trasmissione della tradizione cristiana. Perciò, più del libro di Augias-Pesce, io mi preoccuperei di porre rimedio a questa terribile condizione della cultura attuale, condizione che rischia di produrre conseguenze altrettanto pericole.

    Oggi dunque la società si presta facilemtne a essere orientata dalle operazioni culturali, o che tali pretendono di essere , più varie. La società è confusa e i cristiani non hanno quasi più voce nelle questioni della cultura come della morale o della politica. Ci sono varie ragioni di questa brutta situazione. Di alcune noi non abbiamo colpa. Di altre invece dobbiamo sentirne la responsabilità: come può il cristiano servire il mondo della cultura, se non è veramente preparato? Come può fare un servizio di scienza e di verità degno di questi nomi se non si impegna anzitutto a mettere a frutto i talenti che Dio dona ai suoi figli, preparandosi con rigore e serietà?
    Chiudo questo fin troppo lungo commento con l'augurio che ognuno di noi si applichi a guardare con senso critico alle vicende della vita, si dedichi maggiormente allo studio e si ponga alla lettura, ogni giorno più attenta, dei soli testi della nostra fede: i vangeli.

 













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