Il lavoro

venerdì 17 luglio 2009 alle 23:49


Per san Benedetto un criterio essenziale per definire una spiritualità sana è vedere se uno si lascia stimolare dal lavoro e se il suo lavoro gli riesce bene. Se qualcuno lavora solo con molta lentezza o con fastidio, fa pensare che abbia un’anima complicata. Questa persona impiega troppa energia per se stessa e non dispone più di energia per il lavoro. L’impegnarsi nel lavoro è un segno di libertà interiore. Alcuni utilizzano Dio per sottrarsi al lavoro. Preferiscono rifugiarsi in sentimenti devoti piuttosto che dedicarsi a un lavoro oggettivo. Per Benedetto, però, colui che sfugge al lavoro rifiuta alla fine anche Dio. Non si lascia stimolare da Dio. Abusa di Dio per se stesso. Scambia la contemplazione con l’avere tempo per sé. In questo tempo ruota attorno a se stesso invece che abbandonarsi a Dio.

Ho conosciuto parecchie persone che vanno in estasi per le loro esperienze di Dio. Quando però chiedo loro com’è la loro vita quotidiana, quando si alzano, come svolgono il lavoro, appare chiaramente che la loro vita è un caos. Sfuggono al caos rifugiandosi nella spiritualità. Ma questa non è una spiritualità matura.

Una spiritualità matura si esprime in fecondità, anche nel lavoro. Chi si è aperto a Dio, è aperto anche per gli impegni di ogni giorno. Ci sono i “religiosi modello”, ma questi non servono nel lavoro. Non ammettono scadenze. Ritengono che nessuno debba loro fare fretta, pensano di dover lavora­re col loro ritmo. Alla fine, però, sono incapaci di collabora­re in maniera costruttiva con gli altri. E così nel loro modo di lavorare appare chiaro che mettono in azione il loro bisogno di potere e che in loro c’è molta aggressività. Alla fine, nella loro religiosità, si chiudono nei confronti di Dio e nei con­fronti di coloro con cui dovrebbero lavorare.

La connessione esistente tra lavoro e spiritualità è già spiegata nel vangelo di Luca. Luca ha composto il suo vange­lo con il pensiero rivolto al ceto medio greco e perciò nelle parole di Gesù riprende soprattutto il rapporto con la pro­prietà e con il lavoro.

Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è diso­nesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella iniqua ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? (Le 16,10-12).

La mia spiritualità si manifesta nel modo in cui mi com­porto con le faccende di ogni giorno, con i beni del mondo e con il mio lavoro. Non raggiungerò i beni spirituali (la vita divina) e la vera ricchezza (quella dell'anima) se non ese­guo con scrupolo quello che mi è stato affidato nel lavoro quotidiano. Molti cristiani hanno trascurato queste parole di Gesù. Pensano che Dio provvederà a tutto. E questa fede li porta a comportamenti irresponsabili con le loro finanze e con il loro lavoro. Non si accorgono assolutamente del peso che provocano agli altri con questo modo di fare. Gli altri poi devono pagare per quello che loro hanno dissipato.

Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è sta­to ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare (Le 17,10).

Anche queste parole di Gesù, che troviamo nel vangelo di Luca, si riferiscono a una spiritualità che si esprime nella realizzazione degli impegni quotidiani. A Gesù interessa che facciamo ciò di cui siamo debitori a noi stessi, alla vita, al mo­mento presente, alle esigenze della vita quotidiana. Per Gesù la religiosità autentica sta nel fare semplicemente quello che ci tocca fare. Qui non posso più rifugiarmi in sentimenti pii. È necessario, piuttosto, che risponda alle esigenze della vita quotidiana. È una spiritualità oggettiva e sobria quella che ci chiede qui Gesù. Essa però corrisponde alle massime di sa­pienza di molte religioni. I cinesi dicono: il 'Tao' è il consue­to. La spiritualità genuina dipende dalla capacità di eseguire con cura le solite cose della vita quotidiana, dal fare con sem­plicità ciò che devo a questo momento con le sue richiest

A. Grün



 













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