Intercessione

mercoledì 31 gennaio 2007 alle 11:20
Tra i doni che il Signore ci ha dato c'è la partecipazione misteriosa ma efficace alla sua unica e insuperabile intercessione presso il Padre (Eb 7,25). Facciamo un attimo il punto su questo aspetto della nostra vita riascoltando queste parole di D. Bonhoeffer.




Non è possibile, in un culto in comune, ricordare tutte le persone che ci sono affidate e intercedere per loro, o comunque non nella forma dovuta. Ogni cristiano ha la propria cerchia di persone che gli hanno chiesto di intercedere per loro o per le quali si sente chiamato, per determinate ragioni, a intercedere. In primo luogo saranno coloro insieme ai quali vive ogni giorno. E qui ci troviamo ad un punto in cui sentiamo battere il cuore di ogni convivenza cristiana. Una comunità cristiana vive dell’intercessione reciproca dei membri o perisce. Non posso giudicare o odiare un fratello per il quale prego, per quanta difficoltà io possa avere ad accettare il suo modo di essere o di agire. Il suo volto, che forse mi era estraneo o mi riusciva insopportabile, nell’intercessione, si trasforma nel volto del fratello per il quale Cristo è morto, nel volto del peccatore perdonato. Questa è una scoperta veramente meravigliosa per il cristiano che incomincia a intercedere. Non esiste antipatia, non esiste tensione e dissidio personale che, da parte nostra, non possa essere superato nell’intercessione. L’intercessione è il bagno di purificazione a cui il singolo ed il gruppo devono sottoporsi giornalmente. Può esserci un’aspra lotta con il fratello, nella nostra intercessione, ma rimane la promessa che vinceremo.

Come? Intercedere non significa altro che presentare il fratello a Dio, vederlo nella luce della croce di Gesù come povero uomo e peccatore bisognoso di grazia. Con ciò viene a cadere tutto quello che me lo rende antipatico; lo vedo in tutta la sua miseria e pena; nel suo travaglio e peccato che mi si mostrano così grandi e così opprimenti come se fossero i miei; ed allora non posso fare a meno di supplicare: “Signore, opera tu stesso, tu solo in lui, secondo la tua severità e la tua bontà”. Intercedere significa: concedere al fratello lo stesso diritto che è stato concesso a noi, cioè di porsi davanti a Cristo ed essere partecipe della sua misericordia.

Da ciò risulta chiaro che anche l’intercessione è un servizio che ci viene chiesto da Dio e dal fratello, ogni giorno. Chi si rifiuta di intercedere per il prossimo, gli rifiuta il suo servizio cristiano. E’ pure chiaro che l’intercessione non è preghiera generica, indistinta e confusa, ma una richiesta molto concreta. Si tratta di persone ben precise, e di difficoltà precise, perciò anche di richieste precise. Quanto più chiara è la mia preghiera di intercessione, tanto più certo ne è l’esaudimento.

Ed infine non possiamo nemmeno rifiutarci di riconoscere che il servizio di intercessione richiede tempo, da parte di ogni cristiano e, più ancora, da parte di ogni pastore, a cui è affidata tutta una comunità. L’intercessione sola, se fatta bene, riempirebbe tutto il tempo che vogliamo dedicare alla meditazione. Così si dimostra che l’intercessione è un dono della grazia divina a ogni comunità cristiana e a ogni cristiano. Poiché con essa ci viene offerto un dono incommensurabile, lo accetteremo anche con gioia. Proprio il tempo che dedicheremo all’intercessione sarà per noi, ogni giorno, fonte di sempre nuova allegrezza nel Signore e nella comunità cristiana.


Da La vita comune

di D. Bonhoeffer


Ecco, io oggi faccio di te una fortezza

sabato 27 gennaio 2007 alle 23:50
[Nei giorni del re Giosia], mi fu rivolta la parola del Signore:
«Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo [ti ho (ri)conosciuto] , prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». Risposi: «Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane». Ma il Signore mi disse: «Non dire: Sono giovane, ma và da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che io ti ordinerò. Non temerli, perché io sono con te per proteggerti». Oracolo del Signore. Il Signore stese la mano, mi toccò la bocca e il Signore mi disse: «Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca. Ecco, oggi ti costituisco sopra i popoli e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare.
Tu, poi, cingiti i fianchi, alzati e dì loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro.
Ed ecco oggi io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti muoveranno guerra ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti». (Ger 1, 4-10. 17-19)

La liturgia di domani inizia con alcuni stralci dal bellissimo cap. I del libro di Geremia (io per la verità ho riportato qualche versetto in più perchè mi sembra davvero un peccato prendere solo qualche frammento di testo un pò' di qua e un po' di là...).
La parola di Dio che raggiunge l'uomo Geremia (e noi) nel suo oggi ("nei giorni del re Giosia...") è da vertigine.
Prima che tu fossi plasmato, prima che tu vedessi la luce di questo mondo, prima di ogni principio, io ti ho riconosciuto come mio figlio. Riconosciuto come figlio (non solo "conosciuto" come purtroppo quasi sempre si traduce in questo contesto il verbo ebraico). Appartieni a tuo padre e tuo padre appartiene a te. Sei consacrato, ogni fibra del tuo essere è abitata da questa volontà amorosa di Dio. Dice il salmo 27,10: "mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto".
E in Geremia si esplicita ciò che vale per tutti. La consapevolezza di questa paternità originaria che ci costituisce essenzialmente nella relazione di figli amati, voluti, desiderati, riconosciuti, abilitati a parlare la parola stessa di Dio che ci è stata rivolta.
"L'uomo è definito dalla sua vita visibile, quella che va dalla sua nascita alla sua morte; ma questo tempo è in rapporto con un altro tempo, più breve, quello della sua vita invisibile, della vita noscosta nel grembo materno. Vi è il tempo della (relativa) autonomia dell'uomo, della sua storia personale; ma questa è da rapportarsi con il tempo delle origini, quando si realizza una particolare presenza di Colui che "fa" in colui che "è fatto". Per capire veramente un uomo bisogna tenere presente l'articolazione tra questi due momenti, perchè ciò che è "originario" e invisibile rappresenta il senso che si svela poi nella storia" (P. Bovati).
In Geremia si rivela un amore particolare che "elegge", sceglie tra tanti per una missione in favore di tanti (addirittura "le nazioni"). In favore, a vantaggio, a servizio, per il bene di molti. Questa volontà amorosa di Dio si riversa su un uomo concreto (e su uomini e donne concrete anche oggi) e si fa desiderio di incarnazione e di manifestazione al mondo della Sua alterità che cerca l'amore dell'uomo.
La piccolezza umana di Geremia trema di fronte a questa missione di "parola". Percepisce quasi un senso di espropriazione oltre che di radicale inadeguatezza. Egli dice di essere un na'ar, un ragazzo. Ma non tanto nel senso della timidezza, quanto in quello della mancanza di autorità di parola e nella incapacità di dire la verità. La sua sarà una parola di ragazzo rivolta a re, autorità, a tutto un popolo, a delle nazioni! Come potrà essere ascoltato, obbedito? Che senso ha questa scelta di Dio? "Non so parlare"!
Eppure è proprio in questo paradossosale incontro tra debolezza (umana) e potenza (di Dio) che si attua il mistero della parola profetica. Essa suscita sempre come accadde a Nazareth per Gesù, la domanda: "ma come, non è il figlio di Giseppe?"; "ma da dove viene tanta sapienza?" (cfr. Mt 13,54.56; 21,23; Gv 7,15).
"Non dire: sono giovane, sono un na'ar". Non si diventa veramente uomini per accumulo di competenze, ma per un sì detto a Dio. E l'essere del profeta è radicalmente assenso, accoglienza di questo mistero. Così la sua bocca farà udire la Parola, e la Parola si inciderà nel suo stesso corpo, nella sua stessa vita, nel suo celibato, nel suo non indietreggiare di fronte alla morte e nel suo miracoloso scampare alla morte. Buttato in una cisterna a morire e dà laggiù ritirato su (cap. 38) figura di Colui - Cristo Signore - che è il Primogenito [di coloro che risalgono] dai morti (Col 1,18).
Quante cose ci sarebbero da dire! Ma voglio andare subito a ciò che mi ha colpito rileggendo anche il Vangelo di domani.
Tu sei debole, inadatto. Ma io oggi faccio di te una fortezza, un muro di bronzo. Contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ma come! Non era una missione "per"? Perchè allora si dice che egli dovrà essere "contro"?
Il corpo del profeta viene investito dalla forza di Dio. Che è il suo stesso essere: essere Amore.
Un Amore che l'uomo non conosce perchè ha preferito i suoi "amori", altre relazioni, altri luoghi dove attingere la vita, dimenticando l'Origine, il Padre. Voglio essere io a fare me stesso. Non voglio un padre, non voglio una origine che non sia la mia stessa decisione di essere e fare ciò che voglio. "Ti faranno guerra".
La libertà data da Dio (per amore) all'uomo prevede questa possibilità: che il Padre venga rifiutato, ucciso. Ma l'Amore non muore. L'Amore non desiste. Non cede di fronte al rifiuto di chi in fondo ha deciso di suicidarsi rifiutandoLo. Una fortezza. Un Amore che per amore non si piega e continua a parlarti, a cercarti. Un Amore che trasfigura il corpo e la vita di altri uomini in fortezze, che non devono cedere di fronte al non-amore. E a noi invece basta una foglia a spaventarci, a metterci in fuga come conigli, di fronte ad una sola parola dettaci con freddezza, di fronte ad non-saluto, di fronte alla paura di fare figuracce perchè semplicemente ci facciamo un segno della croce... altro che fortezze...
E allora ripenso al Signore.
Il vangelo di domani (IVa del T.O.; Lc 4, 21-30) riprende esattamente da dove era terminato quello di domenica scorsa: Gesù si rivela, nell'ordinarietà del rito del sabato, come Colui in cui si adempie tutta la parola profetica della Scrittura. Parla ai suoi concittadini di Nazareth, dove era cresciuto, a gente che lo conosceva, o pensava di conoscerlo. E gli fanno guerra. Non accolgono e non accettano, ritengono assurdo che Dio possa così rivelarsi, mentre cammini per la città, quando un tuo amico ti dice una cosa, mentre studi o lavori, quando parla il tale prelato o insomma "la Chiesa" come si dice, è assurdo che Dio si possa rivelare così, in mezzo a tanta povera umanità!

"Nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio".

Un rifiuto che accompagnerà la missione del Figlio di Dio fino alla fine.
Un rifiuto che si scontra con una fortezza inespugnabile: L'Amore. Desiderio di comunione e di vita. Amore che non si piega sotto i flagelli, non recede di fronte agli insulti, non si pente di averci dato fiducia e libertà. Amore che tace per non accusare; si fa silenzio per parlare e rivelarsi come Amore. Essere abitati dall'Amore significa sentire questa irriducibile forza crescere dentro. E' quello che chiediamo entrando nella preghiera in questo riposo domenicale.





Abramo, Francesco e noi...

martedì 23 gennaio 2007 alle 22:51
«Se c’è una definizione cristiana dell’esistenza, è quella indicata dal termine “vocazione”. Questo termine può essere percepito, nel suo profondo significato, solo nell’ambito della tradizione religiosa ebraico-cristiana, cioè in una tradizione religiosa interamente dialettizzata dal rapporto vocale con Dio. Dio che si rivela investe totalmente la vita dell’uomo, dandogli l’esatto significato del rapporto con Lui, con gli altri e con se stesso»[1]. Giovanni Paolo II ha affermato che questa idea di vocazione come l’abbiamo definita (Dio che si rivela investe totalmente la vita dell’uomo, dandogli l’esatto significato del rapporto con Lui, con gli altri e con se stesso), «si manifesta per la prima volta nella storia dell’umanità con la vocazione di Abramo. La persona – continua Giovanni Paolo II – chiamata con il proprio nome, prende coscienza del suo rapporto con Dio, e può liberamente collaborare alla missione affidatale dal Creatore»[2]. La vocazione nostra, la vocazione della vita, non può non misurarsi, paragonarsi con la vocazione di Abramo, con il “come” Dio ha chiamato Abramo. Perché la modalità del nostro rapporto con Dio non la decidiamo noi, ma la decide Lui. A noi sta obbedire alla modalità che lui sceglie e che nel suo rapporto con Abramo diventa paradigma per ciascuno di noi. La storia della vocazione e di tutta la vicenda di Abramo inizia così: Il Signore disse… (Gn 12,1). Credo si possa istituire un interessante parallelo con il racconto della creazione. La Genesi ci informa che prima della parola creatrice di Dio, la terra era informe e vuota (Gn 1,2): essa inizia a prendere forma, a riempirsi di vita e di luce a partire da una parola di Dio: Il Signore disse…(Gn 1,3). Per Abramo è stato lo stesso: è un uomo qualsiasi, un beduino come tanti, sconosciuto, ma la parola di Dio lo trae dall’ombra e lo fa essere. Ed anche per noi è lo stesso: noi siamo stati creati dal nulla, abbiamo iniziato ad esistere in forza di una parola di Dio che ci ha strappato dal nulla e ci ha chiamato all’esistenza. Ma in quel nulla, esistenziale, noi rischiamo sempre di precipitare di nuovo, perché ci portiamo dentro la ferita di una sproporzione che ci fa essere distratti, dimentichi del rapporto costitutivo con il profondo radicale generativo di tutte le cose; ed è per questo che ogni mattina, ed anzi in ogni istante, come ha detto ancora Giovanni Paolo II nel suo Trittico Romano, il Signore, con la sua Parola «domina ogni cosa, traendo l’esistenza dal nulla, e non soltanto in principio, ma di continuo». La nostra vita, dunque, la sua possibilità di compimento, si gioca interamente nell’ascolto della Parola di Dio e nella nostra obbedienza ad essa. Se Abramo non avesse obbedito a quella parola, niente della storia che ha avuto inizio con lui e che si compie in Cristo, sarebbe accaduto.

Ora, però, come dice Ugo di S. Vittore, tutta la Parola di Dio è un libro solo e quest’unico libro è Cristo; «infatti tutta la divina Scrittura parla di Cristo e in lui trova compimento». Se tutta la divina Scrittura è un libro solo e quest’unico libro è Cristo, allora, mi sembra, la Parola di Dio non è innanzitutto un testo da capire, ma una Persona – la persona di Cristo – da seguire. C’è un episodio della vita di Francesco di Assisi che penso possa chiarire ciò che voglio dire: il testo dice così:

«Ma un giorno in cui in questa chiesa si leggeva il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli Apostoli di predicare, il Santo, che ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza (Mt 10,7-10; Mc 6,8-9; Lc 9,1-6), subito, esultante di spirito Santo, esclamò: «Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!»[3]

Qui è evidente come non sia Francesco ad interpretare il Vangelo, ma è il Vangelo che interpreta Francesco, facendo l’esegesi del suo desiderio e mobilitandolo alla decisione.

Anche per noi, come per Abramo, come per Francesco, può essere così; l’unica cosa che ci viene domandata è avere a cuore il nostro cuore, obbedire a quel desiderio di bellezza, di verità, di giustizia, di felicità…un desiderio che trova risposta in quella Parola che, unica, rimane in eterno.



[1] L. Giussani, La vocazione della vita. Appunti dall’intervento di Luigi Giussani a un raduno di universitari. Bologna 1971, in «Tracce. Rivista internazionale di Comunione e Liberazione» Giugno 2005, 1.

[2] Giovanni Paolo II, Messaggio a Monsignor Luigi Giussani in occasione degli Esercizi Spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione, 25 Aprile 2001.

[3] 1Cel 22; FF 356.


p. Mario


Ringrazio il carissimo p. Mario Cucca ofm cap., dottorando PUG (nella foto... ma mica l'ultima... la prima! mentre parla con il suo Direttore di Tesi...). Con questo post inizia la sua condivisione e collaborazione al blog!


Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia...

sabato 20 gennaio 2007 alle 22:59
Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi. Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore. Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,14-21).

Così il vangelo di domani, Giorno del Signore. Una parola che si compie. Una parola antica. Una parola che pronunciata nell'eternità di Dio si è fatta parola di uomo e ha attraversato i giorni, i secoli, per raggiungerti. Una parola giovane, fresca, sempre viva, che si compie oggi.
E' l'oggi del tuo atto di lettura e di ascolto.

Come per Gesù il Figlio, la Parola stessa del Padre, anche noi senza questo parlarci di DIo nemmeno esistiamo. Lui è la Parola fatta carne che dà sostanza alle parole dei suoi messaggeri, i profeti. Parole dette, parole scritte, parole che possiamo sentire anche oggi. Che dobbiamo sentire e accogliere, per vivere.
Sì perchè senza relazioni siamo morti. Ma ci sono relazioni che danno la vita e pseudorelazioni che affossano nella morte, lentamente o meno. La relazione che dà la vita, con Dio, come sarà possibile senza qu
esto ascolto, senza farci raggiungere dalla parola profetica?
Non si tratta tanto di una parola che ti dice il futuro, ma di una parola che ti dice la verità. Di te stesso. Delle persone e delle cose in relazione a te. Ti svela quello che tu non vedi, anche se pensi di vedere, ti dice, ti sussurra o ti sbatte in faccia il verso senso delle scelte che hai fatto o devi fare. Avere sete di una parola così è già predisporsi alla sua irruzione nel nostro oggi.
Ieri è stata una bellissima giornata. Ho benedetto il DIo della vita, l'ho benedetto per avermi pensato, creato, concesso di vedere la luce, sperimentare il suo amore attraverso l'amore di tante belle persone che ieri hanno benedetto Lui con me. E' stata una giornata di un gioia serena. E il regalo più bello è arrivato alla sera. La parola profetica!
Una parola che non sentivo così potente da tempo.. difficile da descrivere. Il mezzo: una persona cara, in carne ed ossa ovviamente, perché così (di norma) ci raggiunge la Parola di Dio, facendosi piccola piccola. Piccola perché detta attraverso l'uomo, con tutti i suoi limiti. E piccola perchè rivestita di qualcosa che pensiamo di conoscere già fin troppo bene. Come Gesù, l'uomo che tutti conoscevano, il tuo vicino, il figlio di Maria, il falegname. E in lui quel sabato si rivela il termine ultimo di tutta la parola profetica della Scrittura. in Lui! Per me ieri una parola che spacca la roccia, come l'ha sentita Geremia (Ger 23,29). Una parola violenta, una parola che accusa, una parola che deve far male, per spazzare via il velo che è sopra i tuoi occhi e sopra il tuo cuore, un parola bellissima, che ti spiazza o ti getta a terra, ma solo per riconsegnarti alla verità, a Dio e a te stesso. Una parola che proprio accusando diventa annunzio alla tua povertà di un lieto messaggio, proclamazione che la tua prigionia sotto il giogo della falsità è finita, annunzio che la vista del vero bene ti è ridonata!
Certo è un fatto isolato, limitato ad un fatto concreto.
Molto resta ancora da essere illuminato e chiarito.
Ma è come una profezia: è un seme di speranza che se vuoi accogliere riempirà la tua vita dei suoi frutti di vita. Amen!

Quello che colora di senso i tuoi giorni

giovedì 18 gennaio 2007 alle 11:33
Qual'è il motivo che anima il tuo respiro?
Qual'è il senso del tuo alzarti la mattina?
Del tuo lavorare, pensare, progettare?
Del tuo soffrire?
Del tuo correre di qua e di là, comprare, spendere, guadagnare?
Il senso del tuo studio, il senso delle energie che spendi per te e per gli altri?
Sono domande che rinascono dentro proprio quando hai il dono di incontrare persone belle.
Persone che profumano di questo senso. Persone unificate.

Non basta dire che il senso della tua vita è Dio.
Non basta pensare che tutto ciò che fai sarà comunque benedetto da Dio.
E' vero: tu sarai sempre amato e l'amore farà comunque in chi lo accoglie meraviglie...
e può darsi perfino che tu scopra la tua vocazione quando già ci sei dentro da tempo...

Come Abramo, chiamato a lasciare la sua terra e partire quando già stava uscendo con suo padre Terach.. strano, no?
Sentite:

Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono (Gn 11,31).

E subito dopo si dice:

Il Signore disse ad Abram: "Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò (Gn 12,1).

Come prende forma e coscienza in noi il senso della nostra vita rimane un mistero.
Quello che è certo è che la pienezza di questo senso la scopri quando avverti la concretezza della sua Presenza, Presenza che si fa appello, chiamata, invito e incontro.

Non ci basta incontrarci e coccolare i desideri più profondi di noi stessi se questi rimangono un velo all'incontro con Colui che riempie il senso di ogni angolo della creazione.
Aggiungere competenze a competenze, lavorare, studiare, sciare, andare a cavallo, pilotare aerei o sfrecciare sull'asfalto in moto, innamorarsi, sposarsi, essere amati ed amare, guidare un'azienda, il successo, la conoscenza e la scienza... ti basteranno senza esserti incontrato con i suoi desideri su di te?

Lui! Lo senti?

Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me (Ap 3,20).

Allo stesso tavolo, alla stessa Altezza, condividere la stessa Vita. Divina! Lui e te! Da vertigine!

Ma concretamente... qual'è stato o può essere l'ingresso di Lui nella tua vita?

Persone belle (lasciatemelo dire) come Carlo e Chiara hanno accolto i Suoi desideri concretamente e concretamente li hanno riconosciuti. Come?
Accogliendosi l'un l'altro e accogliendo Giovanni Maria.
E' questa la loro vocazione, il dono di cui vivono. Presenza concreta di Dio tra loro. Pienezza di senso che cresce e riempie il loro camminare insieme in questa storia fino all'incontro perfetto e beatificante con Lui.

Prendo ancora in prestito le loro parole...



Un gesto d'Amore...Dio ci chiama alla vita!

Abbiamo ricevuto una Luce che ci indica il cammino...per procedere sicuri...per avanzare coraggiosamente...

Giovanni Maria ci fa riscoprire ogni giorno la bellezza della vita...le conferisce leggerezza e spessore...vi semina germi di senso...e le restituisce la sua inestimabile dignità...

Abituati a misurare tutto in termini di risultati, di 'profitti' tendiamo ad ignorare che ciò che fa 'bella' una vita non è il successo, ma il viverla con gli altri, il poterla spendere per i propri cari, gli amici, il saperla abitata dal senso, il percepirla conforme alla nostra vocazione più intima, alla nostra verità più profonda.

Da neo-genitori ci rendiamo conto che la famiglia diviene un punto fermo, un molo dal quale staccarsi per imparare a navigare verso gli altri per vivere meglio e più serenamente dando volto a noi stessi!

Ciascuno diventa dono per l'altro...

Ci sentiamo chiamati a corrispondere questo Amore e ad assumerne le responsabilità, con la certezza che solo domandandosi si trova se stessi e il senso della vita.

Solo l'Amore è credibile...
Solo l'Amore sazia...
Solo l'Amore vive per sempre...




Don Andrea Santoro... per non dimenticare

mercoledì 17 gennaio 2007 alle 23:01
Pochi giorni prima di essere barbaramente ucciso, don Andrea Santoro aveva inviato una toccante lettera a Benedetto XVI. È stato lo stesso Santo Padre a rivelarlo nel corso di un'udienza generale.
"È uno specchio della sua anima sacerdotale - ha detto - , del suo amore per Cristo e per gli uomini, del suo impegno per i piccoli".

A quasi un anno dalla sua morte mi viene da pensare quante notizie, immagini o vicende mi sono passate sotto gli occhi... quante!
Ma il senso che può riempiere lo scorrere dei giorni è deposto nell'esistenza nascosta di persone come don Andrea, legate indissolubilmente a Cristo Signore, nella vita e nella morte.. e nella Gloria.

Riporto qui di seguito il testo integrale della lettera.

Roma, 31 gennaio 2006

Santità,
le scrivo a nome di alcune signore georgiane della mia parrocchia "Sancta Maria" a Trabzon (Trebisonda) sul Mar Nero in Turchia. Me l'hanno dettata in turco, la traduco come è uscita dalla loro bocca così gliela faccio avere in occasione della mia venuta a Roma. Io sono don Andrea Santoro, prete "Fidei donum" della chiesa di Roma in Turchia, nella diocesi di Anatolia, qui residente da 5 anni. Il mio gregge è formato da 8/9 cattolici, i tanti ortodossi della città e i musulmani che formano il 99 per cento della popolazione. Sarebbe lei Santità, sia il vescovo della mia diocesi di partenza (Roma) sia il vescovo della mia diocesi di arrivo dal momento che si tratta di un "Vicariato apostolico". È a questo doppio titolo che le recapito la lettera delle tre georgiane.

«Caro Papa, a nome di tutti i georgiani la salutiamo. Da Dio chiediamo per te salute nel nome di Gesù. Siamo molto contenti che Dio ti ha scelto come Papa. Prega per noi, per i poveri, per i miseri di tutto il mondo, per i bambini. Crediamo che le tue preghiere arrivano dirette a Dio. I Georgiani sono molto poveri, hanno debiti, senza casa, senza lavoro. Siamo senza forze. Viviamo in questo momento a Trabzon e lavoriamo. Tu prega che Dio ci benedica e crei in noi un cuore nuovo e pulito. Noi non dimentichiamo la vita cristiana e per i turchi cerchiamo di essere un buon esempio nel nome di Dio, perché per mezzo nostro vedano e glorifichino Dio. Noi abbiamo molte cose da dire e da raccontare ma, Inshallah, se verrai a Trabzon potremo parlare faccia a faccia. La tua venuta sarà una festa felice. Da Dio chiediamo e auguriamo per te salute e pace e vita cristiana. Baciamo le tue mani. Saremo contenti che tu ci risponda e ci mandassi una foto con la tua firma. Tu come papà comune prega per don Andrea e Loredana, che Dio dia loro forza e a Trabzon per mezzo loro la chiesa cresca e si moltiplichi. Maria, Marina e Maria».

A nome degli altri cristiani georgiani ti invitiamo a Trabzon per la tua prossima venuta a Novembre in Turchia. Santità, mi unisco a queste tre donne per invitarla davvero da noi. È un piccolo gregge, come diceva Gesù, che cerca di essere sale, lievito e luce in questa terra. Una sua visita, se pur rapida, sarebbe di consolazione e incoraggiamento. Se Dio vuole... a Dio niente è impossibile. La saluto e la ringrazio di tutto. I suoi libri mi sono stati di nutrimento durante i miei studi di teologia. Mi benedica. E che Dio benedica e assista anche lei.

Don Andrea Santoro
Prete "Fidei donum" della diocesi di Roma in Turchia,
diocesi di Anatolia, città di Trabzon sul Mar Nero,
chiesa di "Sancta Maria".

L'incontro... benedetto dalla Sua presenza

lunedì 15 gennaio 2007 alle 22:04
Ieri il vangelo delle nozze di Cana mi ha sorpreso ancora.

Ripensando a come l'evangelista Giovanni ci tenga a far vedere Gesù che inizia la sua vita pubblica, la sua manifestazione messianica, attesa in Israele da secoli, non nell'austerità predicata dal Battista, ma nemmeno con miracoli grandiosi o con parole sublimi...

Gesù va ad un banchetto di nozze. Non tra gente selezionata, elegante e raffinata, e neppure stinchi di santo... gente di paese, che festeggia questo momento umanissimo delle nozze, dove si canta (anche cose tipo il Cantico dei cantici, e magari con derive più esplicite...) e soprattutto si beve...

Beh, del resto la Bibbia stessa ricorda che "il vino allieta il cuore dell'uomo" (cfr. Gdc 9,13; Sal 104,15; Qo 10,11) anche se non bisogna esagerare... e qui chi esagera è proprio il Signore!

Esagera con la festa. 600 litri di buon vino! Il messia si rivela con questa svolta ad una festa di nozze che stava per rovinarsi e finire ad acqua! E qui invoco una parola di comprensione dagli amici musulmani.. che ci volete fare? Mica possiamo rinunciare a questo segno della gioia e dell'ebbrezza della vita nuova donataci nello Spirito Santo!

Gesù va ad un banchetto di nozze. La Sua presenza investe questo amore umano che quasi svanisce. O meglio, si trasfigura. Diventando segno del Suo amore per noi, la Chiesa. Lui lo Sposo, noi la Sposa. Che non potra più essere chiamata l'Abbandonata... ma la Sposata (cfr. Is 62,4). Colei che è stata completata nel suo essere più profondo, da ciò che le mancava: l'infinito Amore.

Il segno luminoso di questa ineffabile realtà sboccia per noi ogni volta che un uomo e una donna si incontrano e invitano Lui. La Sua presenza amorosa.

Grazie Carlo e Chiara per il vino nuovo che sgorga anche per noi dal vostro amore benedetto dalla Sua presenza.

p. Salva




L' incontro...

Momento assoluto che unisce due persone...
Un percorso che diviene un unico fiume...

Il Signore ci ha fatto un grande dono...
In questi anni abbiamo sperimentato tanta gioia e quell'unità di cuori che scaturisce dall'Amore e dal conoscere Dio...


Colui che solo unisce...
Colui che crea sintonia profonda...
Colui che fa condividere all'unisono affetti, dolore, desiderio di pace, capacità di essere 'parola' per gli altri...

Affidiamo a Dio il nostro sentimento di gratitudine...

poichè ci ha chiamati ad aiutarLo...con il nostro umile Sì...

a costruire la sua Città qui sulla terra...



Come un grattacielo che si innalza di piano in piano verso il cielo...

così il nostro Amore è cresciuto...con lo stupore e la meraviglia negli occhi per accorgersi che quel cielo non basta mai...che quello che sembrava un traguardo è solo un altro passaggio...che occorre attendere e puntare instancabilmente ancora oltre...

"La costruzione di un amore spezza le vene delle mani, mescola il sangue col sudore se te ne rimane,

[...] è come un altare di sabbia in riva al mare".
Così Ivano Fossati descriveva in una canzone la fatica, l'importanza e la bellezza nella crecita di un amore...

e ci fa comprendere che dopo tanto amore c'è ancora spazio per andare oltre il cielo...E ci si sente grati e nuovamente appassionati.

Come in una notte d'estate...
E' bello pensare che dopo intense serate consumate a rimirar le stelle, almeno una volta possa esser vinta la pesantezza degli occhi e ci si fermi a scrutare il cielo sino ai primi timidi cenni dell'alba...

che annuncia il Sole e che ricorda che la veglia sarà ricompensata perchè c'è intensa poesia da contemplare!

Carlo e Chiara



Vita insieme 3

sabato 13 gennaio 2007 alle 14:50
La vita comunitaria,
la vita di comunione,
la vita insieme,

è un pericolo.

Essa rischia di far penetrare nelle pieghe della storia la Luce di Dio, la sua stessa vita, il suo Regno. Rischia di portare a Gesù e far riconoscere l' Amore (Gv 17,21.23).
E il Regno delle Tenebre questo non lo può tollererare.
La vita di comunione va distrutta, annullata, ostacolata con ogni mezzo, ovunque tenti di insinuarsi con la sua lucentezza accecante. Ovunque osi affacciarsi. Nell'alleanza sponsale tra l'uomo e la donna, tra fratelli, parenti, amici, tra chi la riceve come una speciale vocazione per cui giocarsi la vita di fronte al mondo che guarda. Ovunque.
Il Principe della menzogna, il Divisore (diavolo: dia-ballo, in greco: getto in mezzo, divido) riserva per questa minaccia tutto il suo furore bestiale, il meglio del suo repertorio da illusionista, le mosse più raffinate della sua intelligenza da scacchista perfetto.
Chi si avventura per il sentiero della vita comunitaria e non mette in conto il suo assalto forse ha già perso.
Eppure non sembra così.
Ma Daai! Esageri. Non serve tirarlo in ballo, è solo un questione tra noi. E tutto si può risolvere, basta un pò' di buona volontà, in fondo siamo persone intelligenti.. Tutto ci sembra una faccenda di scambio di vedute, di parole o attegiamenti, giusti o sbagliati. La vita insieme è alla nostra portata, almeno la convivenza occasionale, e dipende solo da noi.
Ma tu non vedi ancora dove quell'abbozzo di comunione potrebbe arrivare. Lui sì. Tu sei ancora nella penobra di un rapporto, o nella notte: stai fisicamente vicino, o incroci quotidianamente delle persone. Lui teme lo spuntare improvviso dell'alba. Il brillare folgorante di quella vera Luce, che vuole illuminare ogni uomo (Gv 1,9). Il nascere di un giorno nuovo, totalmente nuovo. E' un rischio troppo alto, da soffocare sul nascere, un nemico da eliminare per sempre se già unisce persone e approfondisce relazioni.
Beh, il primo alleato per questo intento omicida purtroppo è già in noi stessi, nella nostra superficialità istintiva, emotiva ed irriflessiva. Quello ha fatto così, che schifo.. quell'altro ha detto questo, vedi? l'ha detto per questo e quest'altro motivo. Lei non ha detto niente: è perchè se ne frega.. Lui fa le cose troppo facili e non si scompone, è un pigro.. l'altro mi fa complimenti e accarezza il mio bisogno di stima, è sempre nel giusto e lo difendo (anche se mi vendo per ottenere altra stima...).
Cose tanto diverse tra loro? No. E' tutta folta boscaglia cresciuta su un unico umido terreno: la sicurezza delle mie percezioni infallibili. Qui il tentatore scivola silenzioso e inavvertito per inoculare il suo veleno di morte. Grazie al mio giudizio certo, su fatti ed intenzioni. Grazie ai confini netti e tracciati per bene, tra chi è nel giusto e chi no... è un po' come al tempo dell'antico Egitto, quando pare sia nata la geometria, per misurare proprietà e ridefinire gli stessi confini dopo le consuete inondazioni del Nilo. L'inondazione di un sorriso, di una parola o di un gesto diverso, affettuoso, inaspettato, migliore... solo per un momento ci disorientano, un attimo.., ma poi riapplichiamo su fatti e persone le nostre antiche certezze e ridisegnamo gli stessi confini di prima. E' il terreno umido e adatto al suo intento. Senza contare poi che arrivano quei momenti o periodi in cui si compie perfettamente quanto annunciato da Gesù ai suoi discepoli prima del giorno oscuro della Passione:

Simone, Simone (Pietro), ecco, Satana vi ha cercato (ha ottenuto il permesso) di vagliarvi come il grano...
(Lc 22,32)

Sono giorni in cui ti senti braccato, inseguito... ti senti strutturalmente un pre-giudicato (anche perchè forse tu stesso pre-giudichi...), non ti si dà possibilità alcuna di spiegarti... tutto ciò che fai o dici produce dei danni, viene frainteso, non capito... e vedi che ogni minima tua disattenzione o leggereza viene usata, trasformata in uno strumento di divisione, al di là della volontà di tutti... ma tu credi sia solo colpa degli altri... provi a sforzarti ad intavolare un dialogo, ma niente, tu stesso (dopo) ti rendi conto di essere stato raggirato, dalle tue stesse impressioni e ti ritornano in mente le altre parole del Signore:

... ma io ho pregato per te, affinché non venga meno la tua fede. E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli (Lc 22,33)

Allora cominci a capire qualcosa... ti rendi conto che questa cosa dell'unità, della comunione è una cosa tremendamente importante e seria, se viene così ostacolata. Cominci ad avvertire che i tuoi sforzi, la tua intelligenza da soli non bastano.
Devi ricominciare dalla preghiera.
La vita insieme è un fatto divino, un dono di Dio, non è opera solo umana.
E allora ti fermi e Lo preghi, lo cerchi, gli chiedi di entrare con la sua potenza in questo ormai inestricabile groviglio di fatti, fraintendimenti, parole, discorsi, emozioni, giudizi e pre-giudizi.
Succede una prima cosa strana, fondamentale: cominci a mettere tra parentesi tutto ciò che pensi degli altri e delle loro intenzioni. Nel senso che sì, io ho visto questo e sentito quest'altro di quella o quell'altra persona, ma in me ciò non si trasforma più in giudizio inappellabile, ma in qualcosa che presenti umilmente al dialogo e al confronto con l'altro. Che forse ancora non accetterà, non cancellerà i vecchi confini... o forse sarai proprio tu che ti accorgerai che li devi cancellare.. sai comunque che la potenza dello Spirito ormai ha trovato nella tua preghiera una via per trasfigurare la storia, e prima di tutto per individuare e fermare il Nemico:


Sarà ormai solo questione di tempo, anche se sofferto e ferito...
e il deserto ancora fiorirà!

Dov'è il Signore? (Epifania 2007)

sabato 6 gennaio 2007 alle 22:54
Dov'é il re dei giudei che è nato? Dov'è?

E' la domanda che gli scrutatori dei segni del cielo venuti dall'oriente ripetono entrando a Gerusalemme (Mt 2,2), ed è la domanda che mi risuona dentro ancora adesso, dopo averla condivisa con gli amici del PIB, e alla fine di questo giorno che celebra la manifestazione (Epifania) del Signore. Dov'è il Signore? Strano modo di manifestarsi, davvero. Se lascia dentro questa domanda, questo appello, questa ansia di risposta. Forse è mancanza di fede chiedersi dov'è il Signore?

No davvero, è proprio il contrario!

E' quando non ti domandi più "dov'è il Signore?" che la tua fede è in crisi. Gerusalemme dormiva sonni tranquilli... fino alla venuta di quei sapienti stranieri. Gerusalemme dormiva. Nella sua sicurezza di avere Dio dalla sua parte, dormiva. Nel suo aver deciso di dimenticare Dio, dicendo il contrario, dormiva. Nel suo attendere il Messia, a modo suo, dormiva. Nel credere di aver capito tutto della propria storia, dei propri drammi, dormiva.

E' l'accusa passionale di Geremia, che grida agli orecchi di Gerusalemme:

Così dice il Signore: Quale ingiustizia trovarono in me i vostri padri, per allontanarsi da me? Essi seguirono ciò ch' è vano, diventarono loro stessi vanità e non si domandarono: Dov' è il Signore che ci fece uscire dal paese d' Egitto, ci guidò nel deserto, per una terra di steppe e di frane, per una terra arida e tenebrosa, per una terra che nessuno attraversa e dove nessuno dimora? Io vi ho condotti in una terra da giardino, perché ne mangiaste i frutti e i prodotti. Ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra e avete reso il mio possesso un abominio. Neppure i sacerdoti si domandarono: Dov' è il Signore? I detentori della legge non mi hanno conosciuto, i pastori mi si sono ribellati, i profeti hanno predetto nel nome di Baal e hanno seguito esseri inutili (Ger 2,5-8).

Non cerchiamo più il Signore, è questo il nostro peccato. Non ci domandiamo più dov'è, concretamente, nella nostra vita, come trovarlo, dove cercarlo. Ci siamo accontentati, lo abbiamo addomesticato, è ridotto ad un nome, ad un rito, a qualcosa da dimenticare.
Sì. perchè forse ha permesso che la vita ci ferisse, ci ingannasse... ci sentiamo defraudati di qualcosa, Dio ci ha impedito di amministrarci la vita come volevamo, come fanno tutti... ci sentiamo violentati.
E allora questi stranieri, che rispetto a noi di lui non sanno nulla, ci inquietano con quel desiderio di Lui (che anche noi in fondo abbiamo), con quella domanda inopportuna.
A cui sappiamo perfino rispondere, esattamente:

Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, Erode s' informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele (Mt 2,4-6).

Dà enorme fastidio ricevere una parola di verità sulla nostra vita dagli altri, che sono tutti stranieri. Eppure i magi sanno che il tempo della manifestazione del Signore è arrivato ma non sanno il luogo, e domandano. Noi sappiamo il luogo, dove il Signore abita (nella sua Chiesa, nella Parola, nei sacramenti, ecc.), ma non sappiamo, nè domandiamo sul il tempo dell'incontro. Ci sfugge... o non lo vogliamo. Abbiamo bisogno gli uni degli altri per trovarlo.
Solo che alcuni decidono di affrontare l'incognita di questo viaggio, si lasciano indietro le sicurezze di casa, altri non lo fanno, e preferiscono conoscere Dio a parole ma non con l'esperienza di una ricerca d'amore in cui ti giochi la vita.
Dov'è il Signore? Il ripetersi di questa domanda dentro di me mi fa sentire vivo, e amante. Lo cerco e Lui mi cerca. I segni non mancano, non mancano nella vita di nessuno, fosse anche solo una stella che brilla per un attimo nell'oscurità del non senso.
Dov'è il Signore? Te lo domanda chi ti sta vicino, a te, che dici di conoscerLo. Sai rispondere?
Dov'è il Signore? Il desiderio puro della Verità, del Bene, dell'Amore dà nuovo vigore a questo grido.
Se questa domanda non ti dà pace è perchè già hai gustato qualcosa della Sua pace, e allora non sei davvero lontano da suo abbraccio. E' un gioco d'amore di cui per Lui tu sei il protagonista, l'amato a cui si rivelerà nello splendore della Sua gloria. Amen!

p. Salva

Vita insieme 2

mercoledì 3 gennaio 2007 alle 22:21
La vita comunitaria spesso è un cammino in salita.

Come quello di oggi. Approfittando degli ultimi giorni di vacanza e della magnifica giornata, che con la sua aria fredda ma tersa mostrava tutta la bellezza dei monti, ci siamo detti: perchè non andiamo sul Sagro? detto, fatto. O quasi... l'intenzione c'era tutta, ma appena vuoi fare qualcosa insieme, gli intoppi spuntano da tutte le parti. Chi vorrebbe venire, ma non può, chi semplicemente non viene, chi viene e si perde per strada (vero Gianlu?) e altri particolari.. alla fine però, dopo fatica, vento e freddo, si raggiunge insieme la vetta: è momento bellissimo, ogni volta nuovo, che ti regala un panorama stupendo e la gioia di vederlo insieme! la gioia di condividere quel momento e non solo.. anche le salsicce e la focaccia a quell'altezza hanno un gusto più buono (vero Lore?). Anche il superatleta sopraggiunto poco dopo, lui che ti guarda esterefatto banchettare lautamente e di gusto con i tuoi confratelli (che hanno portato tagliere, salami, salsicce, fagioli, focaccia, pizza, cioccolata... la grappa no - per dimenticanza..), lui, forse un asceta semibuddista che arriva dopo una ripida salita e nemmeno si siede, nemmeno beve, gli offri quello che hai e ti dice - no grazie, forse bevo un sorso d'acqua, ho qui due arance.. (che poi non prende), lui che alla fine riparte fresco come una rosa, lui l'icona vivente del suo sito di riferimento dal titolo "vadoetornoinmontagna", sì anche lui, viene coinvolto dall'atmosfera di comunione e comincia a raccontarci tutte le sue peripezie in montagna, tutte le sue innumerevoli escursioni, ci dice il suo nome - Paolo -, e ci intratteniamo più che volentieri per più di ora con lui (praticamente in maglietta, noi con piumini e golf multistrato).

Il tutto all'ombra della croce. Che riguardi. Quella croce che ormai diversi vorrebbero tirare giù dalle nostre montagne, in nome della laicità, oppure aggiungervi mezzelune, stelle di David o piccoli Budda... io direi: beh, almeno teniamola come testimonianza di una fede che qui è quasi bimillenaria, come una sorta di reperto archeologico, come un segno antico di quella "credenza" che aveva osato dire che Dio era entrato nella nostra storia... quella specie di "superstizione oscurantista" che aveva osato affermare che la perfezione dell'essere di Dio si era rivelata nell'abisso tenebroso della croce... sì, soprattutto quest'ultima cosa viene in mente qui sulla cima, guardando la croce e ripensando ad alcune parole del Signore:

Gesù, chiamati a sé (i suoi discepoli), disse: «Voi sapete che i capi delle nazioni esercitano la loro signoria su di esse, e i grandi sono quelli che fanno sentire su di esse la loro potenza. Non sarà così fra voi; ma chi fra voi vuol diventare grande sarà vostro servo, e chi fra voi vorrà essere al primo posto si farà vostro schiavo, come il Figlio dell'uomo che non è venuto ad essere servito, ma a servire e dare la propria vita in riscatto di molti» (Mt 20,25-28)

Sulla cima vedo due vertici che si toccano: il vertice della vetta, che indica simbolicamente il punto più eccelso, la realtà più alta; e il vertice di un abisso, quello della croce del Figlio di Dio, che prende su di sè non solo ogni mio peccato, ma la causa di ogni mio peccato: l'abbandono del Padre. Gesù è abbandonato dal Padre per cancellare il mio aver abbandonato il Padre. Due vertici opposti che si toccano. E quassù, questo è il significato della croce piantata a questa altezza. Non dominio. Non manifestazione di supremazia di una religione. Ma come dicevo - se volete - l'attestazione di un messaggio, che forse a qualche archeologo dello spirito (e della verità) potrebbe ancora interessare: un messaggio che dice: il vertice, la vetta, la sommità dell'amore e della comunione (Dio insomma), si rivela in questo abisso misterioso della croce.

Oggi, le piccole difficoltà che minacciavano la nostra comunione fraterna, assunte e vinte nella fatica e nella grazia Sua, ci hanno regalato la luce di questo momento, che non passerà.

Vita insieme

martedì 2 gennaio 2007 alle 16:42

Oggi è la memoria liturgica dei santi Basilio e Gregorio, e la loro testimonianza di comunione fraterna mi rimanda a queste parole del Signore:

Non prego solo per loro, ma anche per queli che crederanno in me mediante la loro parola: che tutti siano uno come tu, Padre, in me ed io in te, affinché siano anch'essi in noi, così che il mondo creda che tu mi hai mandato. 22 Io ho dato loro la gloria che tu mi hai data, perché siano uno come noi siamo uno: io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità, e il mondo riconosca che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me (Gv 17,20-23).

L’unità nella differenza. Ecco Dio–Amore e la sua beatitudine.
Ecco il dono dei doni che ci è stato dato.
Partecipare alla sua stessa vita, iniziando da ora.
È il paradiso. E invece lo sentiamo a volte come inferno, come condanna. Come è possibile?
Tutta la fatica di questa gestazione per la rinascita – che è questa vita – sta in questo.
Nel dire sì a questa beatitudine di Dio, che il nostro limite umano non regge, di solito.
Si intuisce qualcosa di quella beatitudine nell’esperienza dell’amore umano, con tutti i suoi limiti…
Ma anche qui, se dopo l’estasi dell’innamoramento non ci si siede alla scuola dell’Amore e non si accetta di imparare ad amare, tutto crolla.
Dobbiamo rinascere dall’alto (Gv 3,3). Accettare questa pienezza della vita di Dio, che la nostra piccolezza arriva a sentire come illogica, folle, mortale. Come si fa a dare tutto di sé per la comunione con l’altro? Che senso ha? Ok, magari quando l’altro mi ama, mi affascina, mi riempie… lo possiamo ammettere, forse. Ma quando l’altro, lo stesso/la stessa di prima, mi mette davanti la sua alterità irriducibile (e che io devo rispettare, altrimenti non c’è amore, ma inglobamento dell’altro), ossia i suoi gusti (diversi dai miei), le sue abitudini, i suoi difetti, il suo egoismo (che in tutti è duro a morire)… sentiamo la durezza, il non senso di questo Dio-comunione che ci vuole immettere nella sua logica folle.

È pane quotidiano per le coppie, sposate o no. Ma non voglio parlare a loro quasi fossi un esperto di problemi matrimoniali. Non sono sposato. Qui i veri esperti sono proprio gli sposi che vivono la loro vocazione “passo passo dietro a Gesù”. Ma condivido qualche pensiero che mi nasce dalla Parola e dalla mia piccola esperienza.

Penso alla vita comunitaria.

Bisognerebbe fermarsi tutti un attimo e chiedersi: ma io ci credo in quelle parole di Gesù? L’unità è per me il centro del vangelo? Eppure Gesù è chiarissimo: il mondo può credere in Lui solo se in noi vede vivere questo mistero di Dio-comunione. Altrimenti puoi fare qualsiasi altra cosa, ma impedisci al mondo di credere!
Qualsiasi altra cosa. Ma sei fuori. Anche se pensi di stare e credere in Lui.
Il mio Fondatore parla spesso di “morte dell’io”, di rinnegamento di sé (Mt 16,24).
Parole facili da equivocare, che portano il marchio: handle with care! Sennò ti fai del male, inutilmente.
Parole che contengono però una grande verità. Rinnega te stesso, mi suona come: rinnega tutto ciò che tu non sei! Tu sei amore. Accetta di morire, accetta la logica folle di questa comunione che ti costa la vita (o magari invece solo un po’ del tempo del tuo studio, lavoro, passatempo, ecc.) ed entra nella mia beatitudine!

In questi giorni di mi è capitato di leggere qualche scritto di Matta el Meskin, rinnovatore della vita monastica nel deserto di Wadi el Natrun in Egitto, monaco del monastero di san Macario (abitato ininterrottamente dai monaci dal IV sec. ad oggi, e che ha conosciuto una sorprendente rinascita spirituale dopo il 1969, e ora è abitato da oltre un centinaio di monaci, generati a Cristo nella vita monastica dal carisma di paternità spirituale di Matta el Meskin). Vi lascio con queste sue parole:

Se l’io che non è morto non è onorato dai membri della comunità, o è disprezzato da essi, allora odia pregare con loro e non può sopportare di stare in mezzo a loro o di cantare inni insieme e cerca sempre di evitare, per quanto possibile, queste situazioni. Ciò rivela che le sue preghiere e i suoi inni riguardano il suo onore e non quello di Dio o l’amore di Cristo. Si vede così quanto può essere falso il culto a Dio!

Quanto invece all’io che è morto, per lui la comunità è un luogo di amore, vita, gioia e lode a causa della presenza del Signore. L’anima che ama i fratelli ha attraversato la morte ed è giunta alla vita, perché il Signore è sempre presente in mezzo alla comunità

In Cristo, un caro saluto a tutti!

p. Salva

Anno nuovo. Riprendere il cammino..verso l'alto

lunedì 1 gennaio 2007 alle 16:36

Questo blog nasce così, quasi come un gioco, su suggerimento di un fratello:Lorenzo.
E perchè no? Condividere il pane della Parola, con un gesto quasi inavvertito, semplice, offrendo ciò che Lui - il Signore Gesù - ti suscita nel cuore, quando ti raggiunge (e ti fai raggiungere) dal Suo parlare forte e soave. Condividere l'eco della Sua Parola nel grande universo della rete.
Senza pretese.
Con una certezza, però.
Che la Parola e la Presenza che ti ha afferrato è pienezza di vita, e non solo per te.

Un nuovo anno: ancora tempo dato per imparare ad amare, per sigillare con la luce dell'eternità questi attimi che sembrano scivolare via, sbadatamente.. e che invece riempiti dall'Amore non passeranno mai!

Una parola dalla liturgia di oggi 1 gennaio:
S. Maria madre di Dio

Salve, Madre santa:
tu hai dato alla luce il Re
che governa il cielo e la terra
per i secoli in eterno.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2, 16-21)

In quel tempo, i pastori andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.
I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre.
__________________

Siamo ancora immersi nella meraviglia del Natale. Questo Dio che non ha schifo di me e di te.
Che viene ad abitare presso di noi, in noi. La mangiatoia, il mio limite, il mio peccato, i miei errori e difetti, quei difetti che non vogliamo dirci, che teniamo ben celati, anche a noi stessi.
Non sono compatibili con l'amore, pensiamo. Chi mi può amare così? E giù allora a faticare per mostrare agli altri (e a noi stessi) una bella immagine (leggermente ritoccata...) di noi stessi.
Io non credo che mi si possa amare fino in fondo, così, gratuitamente, senza che io dia qualcosa in cambio, senza farci desiderare per qualcosa..
Con Lui non è così, NO, non è così!! Scoprirlo è Natale!
Beatitudine che ti nasce dentro.. perchè Lui è qui con te.
E' un in-fans: non parla, è piccolo dentro di me.
Non viene forse a spiegarmi il perchè di tante cose, di tante cose che non si capiscono, aggrovigliate, misteriose, dolorose o minacciose..
Lo pretendi da un bambino?
Ma Lui è qui con te e con me in questa forma meravigliosa di tenerezza, di vita e di promessa:
e mi basta.
Questa sapienza eterna che si rivela così disorienta, forse. Disorienta la mia logica e le mie domande. Ma rincuora. Una sapienza che non è umana, la sapienza che ti rende Figlio:
e cominci a capire che la vita sarà adulta quando sarai certo dell'amore del Padre, fonte della tua vita, del tuo essere.
E allora riprendiamo il cammino, verso l'Alto, verso di Lui.
Perchè la nostra vita non sia solo una rincorsa affannata alla ricerca di una nostra (indipendente) realizzazione, un accumulare esperienze e competenze, quasi Lui, da solo, non ci bastasse.

Vivere di Lui è la pienezza del tempo...

Buon anno di cuore a tutti,

fra' Salvatore

 













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