Voltare pagina e scrivere ancora "amore"...

lunedì 31 dicembre 2007 alle 00:01

Un altro anno se ne è andato.
Altre pagine del libro de
lla mia vita e della vostra sono state scritte.

Immaginare la vita come un libro in fieri fa una certa impressione. Sa di qualcosa di definitivo. E la vita è così. Definita, definitiva, non torna più indietro.

A che punto sono del libro della mia vita? Beh, non certo all'introduzione, nè ai primissimi capitoli. Non so se sono in mezzo o verso la fine. E' un libro le cui pagine vengono aggiunte man mano che vengono scritte.

Quando sarà scritta l'ultima frase il libro sarà finito, completo. Già di alcuni amici, anche più giovani di me posso già vedere questo libro completo. Che in fondo solo Dio conosce. Noi in realtà ne leggiamo le righe scritte con caratteri più grossi, gli unici che vediamo: è nato in tale data, è mancato in quest'altra, ha fatto questo e quello, abbiamo insieme fatto questa
o quell'altra esperienza, e poche altre cose ancora...

Solo Dio legge la storia vera scritta in questo libro. Ma la scriviamo noi, con le nostre scelte più intime e segrete, con le sofferenze e le gioie più incomunicabili, le speranze, le illusioni, le delusioni, le esperienze e le meraviglie di una vita. O meglio, la scrive Dio con noi, in noi, se glielo lasciamo fare.

A volte capita di scorgere un filo logico, scorrendo le pagine già scritte. E di esserne pure convinti. Giri pagina e tutto cambia. Persone, amicizie, legami, certezze, fiducie. A volte tutto pare contraddetto dalla nuova pagina e non capisci più il nesso. Ma il nesso sei prima di tutto tu stesso. Sono tutte cose che succedono a te. E il fatto stesso che ti sconvolgano ti dice che la vita che stai vivendo è reale.

A volte capita di rendersi ben conto di aver capito che l'unica cosa che veramente conta è amare ed essere amati.

Significa riafferrare saldamente la trama della tua vita. Non importa quello che è stato o sarà. Se decidi di g
iocarti tutto per questo, non potrai sbagliare, anche se farai certamente degli sbagli e se i primi a farti soffrire saranno i tuoi stessi limiti.

Scelte limitate dalla tua visuale e dai condizionamenti del presente, rapporti umani in crisi per mancanza di adeguate strumentazioni comunicative e sufficiente conoscenza del proprio e altrui vissuto psico-fisico, e quant'altro.

Il deserto fiorirà lo stesso. Hai creduto all'Amore, e il deserto fiorirà. Nonostante tutto, nonostante tutti i tuoi errori, i tuoi limiti.

Se il libro della mia vita dovesse finire anche di colpo, con una storia spezzata, apparentemente, senza trame ricondotte ad unità da una chiara conclusione, vi inviterò a ricercare quelle pagine in cui la mia mano nella mano di Dio avevano scritto e cantato l'Amore.

Sarà lì che potrete ricosc
ere il senso e la bellezza di questo libro, e richiuderlo con un sorriso. Non è stato scritto per nulla. Un sorriso che spero fiorisca sulle labbra di chi ho cercato di amare in questa vita, nonostante tutti i miei limiti. E anche di chi non ho mai conosciuto o incontrato in questi giorni che mi sono lasciato alle spalle.

L'amore darà a tutto unità e senso. E riapparirà il sereno.

Ma per adesso ci è dato di voltare ancora altre pagine e di provare a scrivere ancora meglio quella parola così preziosa: "amore". Perchè l'unità della nostra vita sia costruita e data da esso - che è Dio in noi - al di fuori del quale il resto è polvere e cenere.

Scrivere ancora "amore". E' quello che auguro a tutti i viandanti del tempo che passeranno di qua. Buon anno nuovo nella grazia del Signore nostro Gesù Cristo.

A lui ogni lode, nel giorno, nella notte, e nell'Eternità. Amen!



Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono (Gb 42,5)

martedì 25 dicembre 2007 alle 10:59

C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

E' questo il segno che oggi viene donato per chi ha voglia di muoversi ed entrare lì dove è adagiato il Dio fatto Uomo.

La possibilità di un faccia a faccia con l'Assoluto. O almeno un primo contatto; la prospettiva giusta per entrare nel Mistero di Dio.

Lo avresti mai immaginato da solo un Dio così?

Buon Natale!

Tutto il mondo attende la risposta di Maria

venerdì 21 dicembre 2007 alle 18:25

Dalle «Omelie sulla Madonna» di san Bernardo, abate
(Om. 4, 8-9; Opera omnia, ed. Cisterc. 4, 1966, 53-54)


Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito santo. L'angelo aspetta la risposta; deve fare ritorno a Dio che l'ha inviato. Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi oppressi miseramente da una sentenza di dannazione.

Ecco che ti viene offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, saremo subito liberati. Noi tutti fummo creati nel Verbo eterno di Dio, ma ora siamo soggetti alla morte: per la tua breve risposta dobbiamo essere rinnovati e richiamati in vita.

Te ne supplica in pianto, Vergine pia, Adamo esule dal paradiso con la sua misera discendenza; te ne supplicano Abramo e David; te ne supplicano insistentemente i santi patriarchi che sono i tuoi antenati, i quali abitano anch'essi nella regione tenebrosa della morte. Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano.

O Vergine, da' presto la risposta. Rispondi sollecitamente all'angelo, anzi, attraverso l'angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna.

Perché tardi? perché temi? Credi all'opera del Signore, dà il tuo assenso ad essa, accoglila. Nella tua umiltà prendi audacia, nella tua verecondia prendi coraggio. In nessun modo devi ora, nella tua semplicità verginale, dimenticare la prudenza; ma in questa sola cosa, o Vergine prudente, non devi temere la presunzione. Perché, se nel silenzio è gradita la modestia, ora è piuttosto necessaria la pietà nella parola.

Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all'assenso, il grembo al Creatore. Ecco che colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti batte fuori alla porta. Non sia, che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso.

«Ecco», dice, «sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38).

Davide e Golia!

lunedì 17 dicembre 2007 alle 23:18

Togliete la musica del blog per prima cosa.

Fate silenzio assoluto, fate attenzione e cliccate sul video. Vi mancherà il respiro.

Pazzesco. Impressionante.

È un crescendo incredibile, sbalorditivo, da starci male.

All’inizio non ci si immagina dove ci sta portando quel surfista, sembra qualcosa di normale.

Ma poi… una montagna, un mostro, un gigante d’acqua e un minuscolo uomo in fuga dalla sua morsa tremenda.




È una potenza spaventosa e maestosa insieme, solenne, da brivido assoluto. Mi vengono in mente quei pomeriggi di fine estate al mare, dove appena dopo un grosso temporale ci si precipitava a cercare la spiaggia migliore per andare a massacrarsi con le onde inconsuete che si abbattevano con forza e ripetutamente sulla battigia, lanciate da un mare ancora sconvolto. Un divertimento da pazzi (anche perché non era una cosa molto “consentita” dai bagnini anche comunali…). Anche se le onde non superavano i 2 metri esercitavano sul tuo corpo una potenza allucinante. Quando ti facevi prendere in pieno (senza tentare di surfarla con qualche attrezzo di fortuna) ti sentivi un fuscello insignificante e venivi sbattuto sott’acqua da tutte le parti fino quasi a riva… e a voglia di trattenere il fiato gonfiandosi d’aria i polmoni un attimo prima dell’impatto fatale… sembrava di non tornare più fuori…

Però era spettacolare. Adrenalina pura. Peggio ancora quando insieme ad altri pazzi andavamo fin sulla scogliera a circa 100 m dalla spiaggia, proprio dove si infrangevano i cavalloni più grossi… aggrappati fino a tagliarsi agli scogli in qualche postazione idonea, si affrontava l’impatto con questi mostri di potenza.. che paragonati adesso a questo video erano dei microbi…

Ma al di là adesso del pazzo che surfa il mostro in questione c’è da rimanere affascinati e farci una piccola riflessione. Si fa presto a dire “pazzo”… ma da quando conosco un po’ il Signore Gesù non mi meraviglio più di tanto. Il primo pazzo che chiede cose pazze è Lui stesso!!!

E noi che siamo attaccati alla nostra comoda “normalità”! Normali e annoiati, senza stupore, senza adrenalina dello Spirito, quasi dei morti in piedi. Che squallore.

Vorrei cantare con tutte le forze un inno alla pazzia dell’amore del Signore.

Che ha scelto un minuscolo Davide e lo ha fatto vincere contro il tremendo Golia.

Alla pazzia di tanti nostri fratelli e padri che hanno rischiato tutto, spinti da quella moto d’acqua ad affrontare il Golia di turno, il mostro con forza spropositata.

Pazzia di Dio, del suo amore per noi, che ci vuole coinvolgere in questa pazzia.

Via ogni paura!

Tutti i tuoi problemi, i tuoi fallimenti, tutto ciò che ti minaccia e ti terrorizza. Tutto ciò che mai vorresti affrontare.. vai!

Guarda questo pazzo di surfista. Da solo, con il suo coraggio, il suo equilibrio, la sua pazzia..

Il mostro è dietro di lui, è come se cercasse di afferrarlo e schiacciarlo, annullarlo. Ma non ce la fa… e alla fine la sua forza si esaurisce, si spegne.. Come le prove della vita.. è stato concesso loro un tempo ben limitato, poi finiranno. “Non può piovere per sempre” diceva una frase cult del film “il Corvo”.

Ciò che di per sé sarebbe da panico assoluto, ciò che sarebbe solo da fuggire, diventa un cavallo da domare e cavalcare. Anzi, uno spasso assoluto. Irripetibile. Il surfista sembra fuggire, ma in realtà è come se danzasse, disegnando traiettorie armoniose ed eleganti.

Fuor di metafora: potenza della fede, della pazzia di un affidamento totale al Signore.

Lo auguro a tutti e mi auguro di sperimentarlo sempre di più. Se finora mi sono divertito con onde da 2 o 3m aspetto questi mostri alti come montagne! E arrivano, eccome se arrivano nella nostra vita.

Solo che, incredibilmente, quando arrivi alla fede nuda e cruda, certa, inamovibile, assoluta, di essere amato da Dio QUALUNQUE COSA SUCCEDA, anche la cosa peggiore che dovrai affrontare diventerà occasione per qualcosa di stupefacente, una surfata incredibile e spettacolare, bellissima, mozzafiato.

Chissà in paradiso quanti “video” avremo da condividere con tutti i nostri fratelli e sorelle santi, senza bisogno del P2P o youtube!

Vedremo vite spettacolari, da adrenalina pura, vite che hanno affrontato montagne di dolore, di prove, di traumi, di testimonianza e tentazione, vite che lo Spirito del Cristo ha trasfigurato e reso pezzi da cineteca. Sarà un wow continuo, uno scambio di esperienze, una lode continua al Maestro che ha insegnato a tutti i suoi piccoli Davide ad abbattere i loro Golia, a surfare con quella piccolissima tavola della fede sui cavalloni di questa vita. Non solo “per un mercoledì da leoni”, ma per una vita intera e un’eternità da leoni!

Vita comune

alle 16:35

Dalla “Vita comune” di D. Bonhoeffer



«Infinite volte tutta una comunità cristiana si è spezzata, perché viveva di un ideale...


Dobbiamo essere profondamente delusi degli altri, dei cristiani in generale, se va bene, anche di noi stessi, quant’è vero che Dio vuole condurci a riconoscere la realtà di una vera comunione cristiana...


Il Signore non è Signore di emozioni, ma della verità. Solo la comunità che è profondamente delusa per tutte le manifestazioni spiacevoli connesse con la vita comunitaria, incomincia ad essere ciò che deve essere di fronte a Dio, ad afferrare nella fede le promesse che le sono state fatte.


Quanto prima arriva, per il singolo e per tutta la comunità, l'ora di questa delusione, tanto meglio per tutti. Una comunità che non fosse in grado di sopportare una tale delusione e non le sopravvivesse, che cioè restasse attaccata al suo ideale, quando questo deve essere frantumato, in quello stesso istante perderebbe tutte le promesse di comunione cristiana stabile e, prima o dopo, si scioglierebbe...


Chi ama il suo ideale di comunità cristiana più della comunità cristiana stessa, distruggerà ogni comunione cristiana, per quanto sincere, serie, devote siano le sue intenzioni personali.


Dio odia le fantasticherie, perché rendono superbi e pretenziosi. Chi nella sua fantasia si crea un'immagine di comunità, pretende da Dio, dal prossimo e da se stesso la sua realizzazione.


Egli entra a far parte della comunità di cristiani con pretese proprie, erige una propria legge e giudica secondo questa i fratelli e Dio stesso.

Egli assume, nella cerchia dei fratelli, un atteggiamento duro, diviene quasi un rimprovero vivente per tutti gli altri.


Agisce come se fosse lui a creare la comunità cristiana, come se il suo ideale dovesse creare l'unione tra gli uomini.


Considera fallimento tutto ciò che non corrisponde più alla sua volontà. Lì dove il suo ideale fallisce, gli pare che debba venire meno la comunità. E così egli rivolge le sue accuse prima contro i suoi fratelli, poi contro Dio, ed infine accusa disperatamente se stesso».



D. BONHOEFFER, La vita comune, Queriniana, Brescia 1973, p. 46-47).


Si rallegrino il deserto e la terra arida!

domenica 16 dicembre 2007 alle 14:03

Is 35, 1-6. 8. 10

Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.


Appena l'annunzio della liberazione risuona, per il popolo schiavo avviene come una risurrezione. Il deserto e la ter­ra arida, simbolo della miseria e del dolore, rifioriscono e si punteggiano di narcisi. I corpi degli esuli, deboli, muti­lati, doloranti sono percorsi quasi da una nuova giovinez­za; la storia dell'uomo acquista un sapore nuovo, è percor­sa dalla libertà e dalla speranza.

Certo, il deserto resta ari­do; i ciechi, i sordi, gli zoppi e i muti di Israele non sono fisicamente guariti ma il filo verde della speranza trasfor­ma desolazione e sofferenza e fa rinascere la gioia di vive­re. Il profeta sintetizza questa risurrezione nella frase fina­le del brano odierno: «Gioia e felicità li seguiranno e fug­giranno tristezza e pianto».

La vita - come scriveva S. Ago­stino - senza la speranza è come la superficie di un lago in un giorno nuvoloso, superficie metallica e grigia. La vita con la speranza resta materialmente sempre la stessa ma è trasfigurata: la superficie del lago è la stessa ma diventa uno specchio di colori se brilla nel cielo il sole.

La trasformazione del corpo, cioè dell'essere intero uma­no, è posta al centro anche della risposta autobiografica che il Cristo offre ai discepoli del Battista. Col suo ingresso nel mondo certamente molti malati sono stati guariti dai suoi miracoli ma soprattutto molti ciechi nello spirito, molti storpi nell'inerzia, molti lebbrosi nell'isolamento, molti sordi chiusi in se stessi, molti morti alla speranza sono stati liberati e salvati.

Ed è proprio con questo popolo di sofferenti, di poveri e di piccoli, spesso emarginati dalla società civile e religiosa ufficiale, che Cristo costituisce la sua nuova comu­nità a cui annunzia «la buona novella» del Regno e dell'a­more di Dio.

La Chiesa è, quindi, affollata da questi ulti­mi che sono i primi agli occhi di Dio e ad essi deve dedica­re tutto il suo impegno e la sua fraternità. Proprio come il Cristo che per portarli a sé è sceso fino alla loro miseria: «spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, umi­liò se stesso facendosi obbediente sino alla morte di croce» (Fil 2, 7-8).

Il grande teologo e credente D. Bonhoeffer dalla sua agonia nel lager nazista il 16-7-1944 scriveva: «Dio si è fatto debole e impotente nel mondo e così e soltanto così rimane con noi e ci aiuta. Cristo non ci aiuta tanto in vir­tù della sua onnipotenza quanto piuttosto in virtù della sua sofferenza».

di G. Ravasi

San Giovanni della Croce

venerdì 14 dicembre 2007 alle 11:03
Nacque nell`anno 1542 a Fontiveros in Spagna. Quando aveva 21 anni entrò tra i carmelitani. La loro vita religiosa non rispondeva alle sue aspettative, e così stava pensando di cambiare Ordine, chiedendo di entrare tra i Certosini, più eremitici. Nell`anno 1568 incontrò però santa Teresa di Gesù, la quale suscitò in lui l`interesse per una riforma dell`ordine carmelitano. I suoi confratelli si opposero duramente, giungendo perfino a metterlo per tre mesi in prigione, secondo gli usi del tempo, perchè rinunciasse alla Riforma. Nel buio del carcere di Toledo egli scrisse i suoi poemi mistici più belli. I suoi scritti successivi più conosciuti, "La salita al monte Carmelo", "La notte oscura", "Il cantico spirituale" e la "fiamma d’amor viva", saranno nient’altro che i commentari alle sue poesie originarie. I patimenti che dovette sopportare anche negli anni successivi lo aiutarono ad unirsi ancor più profondamente a Dio e lo condussero sulla cima della vita mistica. Morì il 14 dicembre 1591 nel convento di Ubeda. Nell`anno 1726 venne canonizzato e nell`anno 1926 venne proclamato dottore della Chiesa universale.


Alla sera della vita sarai esaminato sull'amore. Impara ad amare Dio come Egli vuole essere amato e lascia il tuo modo di fare e di vedere. (Avvisi, 57).


Dalle "Sentenze" e "Spunti d'amore":


62 - Non ti rallegrare nelle prosperità temporali, poiché non sai con certezza se esse ti assicurino la vita eterna.

70 - A che serve che tu dia al Signore una cosa quando da te ne richiede un'altra? Rifletti a quello che Dio vuole e cómpilo; per questa via il tuo cuore sarà soddisfatto piú che con quelle cose alle quali ti porta la tua inclinazione.

74 - Poiché al momento della resa dei conti ti dovrai pentire di non avere impiegato bene questo tempo nel servizio di Dio, perché ora non lo ordini e non lo impieghi come vorresti aver fatto in punto di morte?

18 - L'anima che cammina nell'amore non annoia gli altri né stanca sé stessa.

21 - Il Padre pronunciò una parola, che fu suo Figlio e sempre la ripete in un eterno silenzio; perciò in silenzio essa deve essere ascoltata dall'anima.

22 - Dobbiamo misurare le sofferenze in rapporto a noi, non in rapporto ad esse.

23 - Chi non cerca la Croce di Cristo, non cerca la gloria di Cristo.

24 - Per innamorarsene, Dio non posa lo sguardo sulla grandezza dell'anima, ma sulla grandezza della sua umiltà.

25 - Anch'io, dice il Signore, mi vergognerò di confessare davanti al Padre mio colui il quale si vergognerà di confessarmi davanti agli uomini (Matteo, 10, 32).

26 - I capelli ravviati spesso, diventeranno lisci e non presenteranno difficoltà a pettinarsi quando si vuole. L'anima la quale esamina spesso i suoi pensieri, le sue parole e le sue opere, che sono i suoi capelli, facendo ogni cosa per amore di Dio, avrà i suoi capelli molto lisci. Lo Sposo le guarderà il collo, ne rimarrà rapito e piagato in uno dei suoi occhi, cioè nella purezza di intenzione con cui ella opera in ogni azione. Se vogliamo che i capelli diventino lisci, si deve cominciare a pettinarli dalla sommità della testa; se vuoi che le azioni siano pure e limpide, queste devono prendere inizio dal punto piú alto dell'amore di Dio.


[SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Opere, Sentenze (60-75) e Spunti di amore (17-26), Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma.]


Ancora altri pensieri...


2 - O Signore, Dio mio, chi ti cercherà con amore puro e semplice senza trovarti molto conforme ai suoi gusti e ai suoi desiderii, poiché tu per primo ti mostri e vai incontro a coloro che ti desiderano?

5 - Colui che vuole restare solo senza il sostegno di un maestro e di una guida, è come un albero solo e senza padrone in un campo, i cui frutti, per quanto abbondanti, verranno colti dai passanti e non giungeranno quindi alla maturità.

6 - L'albero coltivato e custodito con cura dal suo padrone dà i suoi frutti al tempo sperato.

7 - L'anima virtuosa, ma sola e senza maestro, è come il carbone acceso ma isolato, il quale invece di accendersi si raffredderà.

8 - Chi cade da solo, solo resta nella sua caduta e tiene in poco conto la propria anima, poiché l'affida a sé solo.

9 - Se dunque non temi di cadere da solo, come presumi di rialzarti da solo? Ricordati che due persone congiunte hanno piú forza di una sola.

10 - Chi cade con un peso addosso, difficilmente si rialzerà con il suo peso.

12 - Dio desidera da te piuttosto il piú piccolo grado di purezza di coscienza che tutte le opere che tu potrai compiere.

13 - Dio preferisce in te il minimo grado di obbedienza e di sottomissione a tutti quei servizi che tu pensi di rendergli.

14 - Dio stima di piú in te l'inclinazione all'aridità e alla sofferenza per amor suo, che tutte le meditazioni, le visioni e le consolazioni spirituali che tu possa avere.

16 - O dolcissimo amore di Dio, mal conosciuto! Chi ne scoprí le sorgenti, ha trovato riposo.

19
- Piace di piú a Dio quell'anima la quale con aridità e travaglio si sottomette a quanto è ragionevole, che quella la quale, mancando in ciò, compie tutte le sue azioni in mezzo alle consolazioni.

20 - A Dio piace di piú un'azione, per quanto piccola, fatta di nascosto e senza il desiderio che sia conosciuta, che mille altre compiute con il desiderio che siano vedute dagli uomini. Infatti a colui che agisce per Dio con purissimo amore, non solo non importa di essere veduto dagli uomini, ma non agisce neppure per essere veduto da Dio; anzi se questi non dovesse saperlo, l'anima non cesserebbe di rendere a Lui gli stessi servizi con la stessa allegrezza e con la stessa purezza di amore.

21 - Un'azione fatta interamente puramente per Dio, con un cuore puro, crea tutto un regno per chi la fa.

[SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Opere, Avvisi e Sentenze, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma, 1991, pp. 1084-1086.]


Black-out e Immacolata

martedì 11 dicembre 2007 alle 21:25


La mattina presto della Solennità dell'Immacolata è piombato giù un fulmine pazzesco.

Sembrava mi esplodesse in camera. Saranno state le 4 del mattino. Più tardi scopriamo di essere senza luce, riscaldamento e con il router bruciato, ossia senza internet. Mio fratello era sveglio quando è caduto il fulmine... gli è preso un mezzo infarto...

Ho pochissimo tempo in questi giorni.. ma un piccolo pensiero lo voglio lasciare lo stesso, anche se banale forse. Telegrafico.

Abbiamo celebrato l'8 dicembre un aspetto particolare di quel mistero di grazia che è Maria.
Un aspetto che deve pur lasciarci qualcosa e non un generico pensiero su di Lei.

Maria amata e preservata dal peccato s
enza nessun merito da parte sua.

Resa immacolata per puro dono, e per la missione che l'attendeva.
Maria, resa bellissima, senza saperlo.

E noi vogliamo sapere, sempre. Non ci sentiamo sicuri se non sappiamo, vediamo, tocchiamo.

Credere che l'amore di Dio ci preceda sempre e che ci venga donato in modo totalmente gratuito non ci entra proprio in testa.

Barcolliamo appena qualcosa non va per il verso giusto. Abbiamo bisogni di essere subito rassicurati, altrimenti cadiamo nello scoraggiamento.

Fede significa invece credere di essere belli agli occhi di Dio. Amati. Desiderati.

Io sto cominciando a crederci devo dire. Ma anche questo è un dono da chiedere.

Me ne sono accorto la domenica dopo l'Immacolata.

Mi è arrivata una bella
legnata. Come quel fulmine. Da rimanerci secchi.
Ma adesso sorrido. Sorrido a Lui e non mollo, vado avanti e mi sento vicino all'Immacalata. Bello.
Non celebriamo forse la sua bellezza per scoprirla in noi stessi?
Megalomania? Narcisismo spirituale?

E' impossibile...

perchè per quanto ci sapremo amati da Dio, non riusciremo mai a capire quanto siamo belli ai suoi occhi...


...e infatti nemmeno Maria l'ha saputo. Lo ha scoperto a poco a poco, man mano che fissava il suo sguardo sugli occhi del Figlio e vi vedeva il suo riflesso immerso nella luce splendida del suo amore.

Ciao belli!

I limiti della ragione e la luce della fede

martedì 4 dicembre 2007 alle 22:42

Disse un giorno l’Occhio:
“Vedo oltre queste valli un monte velato di nebbia azzurra.
Non è meraviglioso?”


L’Orecchio udì
e dopo aver ascoltato attentamente, disse:
“Ma dove sarebbe la montagna?
Non la sento”.


Allora parlò la Mano e disse:
“Stò cercando invano di percepirla e di toccarla,
ma non trovo montagne”.


E il naso disse:
“Non ci sono monti: non ne sento l’odore”


Concluse la Bocca dicendo:
“Non c’è nessuna montagna:
non provo nessun gusto di essa”.


Allora L’Occhio si volse dall’altra parte, e gli altri presero
a discutere della sua strana allucinazione:
“Deve essere pazzo, ha perso il lume della ragione”


Sorpresi da una Luce che arriva "solo" per noi

domenica 2 dicembre 2007 alle 18:58


Ogni volta che il Signore mi chiama a condividere la sua Parola con altri fratelli e sorelle non manca mai di farmi qualche regalo. Magari di sottobanco.. così quasi all'ultimo momento.

Ormai lo so.

Vado per parlare (per balbettare qualcosa anzi) e mi preparo a ricevere io per primo.

Sarà una parola che io stesso leggo o dico, o una condivisione, un incontro, una domanda, un saluto. E così, improvvisamente, mi sorprende l'alba.

Arriva un raggio di luce nuova dritto al cuore. Per me, solo per me.

Egocentrismo? Forse, ma il Signore fa così anche con te.

Certo il Signore lo fa con tutti, ma sai bene che quel raggio, anche se per gli altri sarà sempre bellissimo, avrà però una gamma di colori diversa. Questi sono per te e per te solo. Non so come spiegarlo ma è così.

Una volta cercavo subito di condividerlo, ne parlavo con entusiasmo... ma poi mi rendevo conto che non sempre riuscivo a trasmettere quel dono ricevuto. Ho capito ancora di più quanto e come il Signore ci ami personalmente.

Ci sono doni che DEVI condividere, altri invece sono solo per te. Incomunicabili (se non per uno speciale dono) o comunque mai nella stessa forma in cui l'hai ricevuto mi sa.

Non è detto che quello che ti ha colpito faccia lo stesso effetto su un'altra persona. Non ti stupire, non rimanerci male.

Quello che il Signore ti ha dato, lo aveva preparato da tempo, aveva pensato a tutti i dettagli..

... al tuo bisogno, ai tuoi desideri. Aveva da tempo e con cura pensato a come presentarti il dono, a come renderlo più bello, a come incartarlo, alle circostanze migliori per dartelo in modo che tu lo apprezzassi e lo capissi... poi zac!

Arrivato il momento ("la pienezza dei tempi"? vabbè non esageriamo...:-) eccolo lì per te. Solo per te.

E tu vuoi subito farlo vedere in giro... addirittura regalarlo ad altri.

Ma daai! Come puoi pensare a questo punto di "riciclare" un regalo così amato - pensato - creato solo per te!??

Ma gli altri?

Avranno anche loro i loro doni. Non ti preoccupare questa volta. Non essere in ansia per la loro "conversione".

Intanto convertiti tu apprezzando il dono.

Gli altri ne riceveranno allora il tuo sorriso, la tua solarità, il tuo sentirti profondamente amato.

E dai tuoi occhi partirà anche per loro un inatteso raggio di sole. Unico e irripetibile.

Direttamente da Lui, attraverso di te, solo per la persona che ti sta davanti in quel momento.

Il tempo di Avvento ci fa gustare e ci prepara a queste venute inattese nella nostra vita.

Ciao!

La tana e il nido

sabato 1 dicembre 2007 alle 10:17



"Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo il loro nido, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo" (cfr. Lc 9,58).


La tana è il luogo in cui uno si rannicchia e trova la sua sicurezza, perchè ci sta bene e si sente difeso.

Il nido è il calore che nutre e protegge.

Oggi il linguaggio psicoanalitico usa simboli diversi: tana e nido diventano il voler restare nel seno materno e in tutto ciò che esso rappresenta, quindi l'essere coccolati, l'essere al riparo, nel guscio della propria sensibilità, nel caldo degli affetti, al sicuro dalle aggressività.

L'uomo infatti, fa fatica ad accettare l'espulsione dall'utero, si traumatizza e rimane perciò sempre tentato di riformarsi un altro nido, un altro ambiente protetto.

Gesù afferma però che il Regno è una nascita violenta, esige di uscire "come un gigante dalla tenda, per correre la propria strada" (cfr. Sal 19,6).

Chi vuol restare nella tenda, non potrà mai capire appieno il Regno.





Magari compirà nominalmente i gesti del Regno e tuttavia, essendo rinchiuso nel proprio bisogno di protezioni psichica, non affronterà il combattimento della vita uscendo allo scoperto.

Questo atteggiamento è oggi particolarmente diffuso: i ragazzi, i giovani e le giovani, nonostante la crisi delle famiglie, non riescono a staccarsene e a decidersi per le scelte definitive, anche in prospettiva matrimoniale e, dopo un primo momento di entusiasmo, preferiscono optare per scelte a tempo determinato.

Card. Carlo Maria Martini

Gli amori del re Salomone (2)

martedì 27 novembre 2007 alle 13:57

La nuova alternativa religiosa è costituita dalle “molte donne straniere”.


Senza alcun dubbio, c’è una dimensione sessuale nella perversione di Salomone – e di che dimensioni: 300 mogli e 700 concubine! – Ma non dobbiamo farci fuorviare: il problema non è sessuale ma politico. I molti matrimoni e l’harem sono un modo per sviluppare le alleanze internazionali.

E tutti questi sforzi per la sessualizzazione della politica e per la politicizzazione della sessualità sono modi per garantirsi la propria esistenza, per mantenere l’iniziativa nella propria vita.

Con il risultato di eliminare il Signore trascendente e qualsiasi principio di critica.

Gli amori nuovi e alternativi di Salomone avevano ridotto la vita a qualcosa di gestibile, calcolabile e amministrabile.

Amare Dio significa arrendersi davanti a quell’Uno che è un sacro mistero schiacciante; che richiede fiducia, e che non può essere controllato.

Inversamente, avere questi amori modesti e divisi significa solo amare soltanto nella misura in cui noi possiamo gestirli e porli così sotto il nostro controllo.

Questa è la tentazione che coloro che amano questo Dio hanno sempre dovuto affrontare.


Walter Brueggemann


Ecco il nostro Re!

domenica 25 novembre 2007 alle 11:29

2 Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, 3 Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4 si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. 5 Poi versò dell' acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l' asciugatoio di cui si era cinto. 6 Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?". 7 Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo". 8 Gli disse Simon Pietro: "Non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me". 9 Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!". 10 Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti". 11 Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete mondi". 12 Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ciò che vi ho fatto? 13 Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. 14 Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. 15 Vi ho dato infatti l' esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. 16 In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. 17 Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica (Gv 13,2-17).

Voi mi chiamate Signore e Maestro e dite bene: lo sono.

La folla osannante l'aveva accolto a Gerusalemme come "il re d'Israele" (cfr Gv 12,13-15).

E Gesù stesso, di fronte a Pilato proclamerà apertamente la sua regalità: "tu lo dici: io sono re" (cfr. Gv 18,37).

Ma il senso di questa regalità, che con la Resurrezione si manifesta quale regalità universale, lo si capisce tra le mura del cenacolo. Qui Gesù tiene una lezione magistrale di "esegesi". Davvero un po' particolare: infatti non è su un passo biblico scritto, ma su un testo ancora da scrivere: quello (quelli) che racconterà della sua morte in croce e della sua resurrezione.

Gesù nel cenacolo fa l'esegesi del suo morire in croce... ma non solo, spiega il senso del memoriale che sarà destinato a rendere presente e operante per tutte le generazioni a venire questo mistero della sua Pasqua: la celebrazione eucaristica (di cui infatti il vangelo di Giovanni non parla - considerandola già arcinota - ma che sostituisce appunto con la lavanda dei piedi che nè è l'interpretazione data da Gesù stesso).

Ecco dunque il nostro Re! Ecco come Dio regna e vuole regnare nella nostra vita.

Tutto è rovesciato. Il concetto umano di "regalità" è solo un espediente per attirare la nostra attenzione lì dove non avremmo mai fissato i nostri occhi: verso i piedi dei nostri fratelli, verso quelle mani che li lavano.

Tra gli apostoli c'è sbigottimento generale, c'è chi si porta le mani alla testa, che non crede ai suoi occhi, chi non riesce a tacere il suo scandalo. Pietro non capisce e si rifiuta in un primo momento di volere un tale re, un tale messia. Ma poi quando intuisce che il suo rifiuto lo avrebbe separato da Lui, pur non capendo accetta tutta intera questa regalità... perché sente che c'è è di mezzo l'amore. E lui vuole rimanere, stringersi a questa comunione con lui, come noi desideriamo essere amati.

Gli occhi, le mani, il suo corpo inginocchiato, tutto è rivolto verso un punto: i nostri piedi, ossia la nostra piccolezza, la nostra miseria. Quanto è amata!

Ecco il nostro Re!

Che chiede ancora di poterci lavare i piedi. Lo farà con il suo morire per noi. Anche se suoi nemici.

Eppoi, il dono ancora più grande: poter partecipare alla sua regalità che è beatitudine dell'amore:


Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica.

Gli amori del re Salomone (1)

venerdì 23 novembre 2007 alle 16:47

Ma il re Salomone amò donne straniere, moabite, ammonite, idumee, di Sidòne e hittite, appartenenti a popoli, di cui aveva detto il Signore agli Israeliti: "Non andate da loro ed essi non vengano da voi: perché certo faranno deviare i vostri cuori dietro i loro dei". Salomone si legò a loro per amore. Aveva settecento principesse per mogli e trecento concubine; le sue donne gli pervertirono il cuore. Quando Salomone fu vecchio, le sue donne l' attirarono verso dei stranieri e il suo cuore non restò più tutto con il Signore suo Dio come il cuore di Davide suo padre. […] Il Signore, perciò, si sdegnò con Salomone, perché aveva distolto il cuore dal Signore Dio d' Israele, che gli era apparso due volte e gli aveva comandato di non seguire altri dei, ma Salomone non osservò quanto gli aveva comandato il Signore. Allora disse a Salomone: "Poiché ti sei comportato così e non hai osservato la mia alleanza né i decreti che ti avevo impartiti, ti strapperò via il regno e lo consegnerò a un tuo suddito. […]" (cfr. 1Re 11,1-13).


Salomone è lo specchio della nostra vita di fede; quel che siamo in grado di discernere in Salomone, lo riconosciamo molto bene anche in noi stessi. E questo è il modo in cui, all'origine, fu inteso il nostro testo. Non è stato scritto così com'è per darci solo un resoconto storico della vita di un re del X secolo a.C. Al con­trario, è stato compilato in modo che Israele potesse comprende­re più a fondo quel che avveniva nel suo seno... e in ogni generazione.

[…] la vita di Salomone è una storia di erosione e di deterioramento, che ci mostra un uomo potente andare in malora.

E noi ci muoviamo sempre dall'uno all'altro, cioè fra l'amore verso il Signore e l'amore verso altre fedeltà. Così ogni giorno, prima o poi, giovani e anziani, a tempo e fuor di tempo, ci troviamo a scegliere sempre fra questi due amori. Oppure, inversamente, noi cerchiamo sempre di evitare la scelta, nella speranza di poterli avere ambedue. […]

All'inizio incontriamo Salomone (1 Re 3,3) in un atteggiamento di salda fede: egli amava il Signore. È un'affermazione semplice; senza alcuna aggettivazione, che manifesta un'intenzione molto chiara. Una tale assenza di ambiguità è senz'altro fonte di entergia e autorità . In quel momento Salomone è un uomo dal cuore puro perché vuole una cosa soltanto.

È stato dimostrato che la parola amore (ahab) in alcuni contesti, forse anche in questo, significa “onorare gli impegni del patto”. Cioè l’amore non è tanto un fattore emotivo […]. Per Salomone amare Dio significava essere chiaro sulle aspettative di Dio e organizzare la propria vita in modo da farvi fronte. Tutto questo ci offre l’occasione per riflettere su quel che Dio si aspetta da parte di coloro con i quali ha stretto un patto. Vedi Giovanni 14,21 dove l’amore di Dio è anche identificato con l’obbedienza ai comandamenti.

Nel nostro testo, come pure nel Deuteronomio (vedi 6,6;10,13;13,4), è molto chiaro che amore significa obbedienza. L'intenzione di un cuore retto deve avere espressione concreta.

[continua...].



Walter Brueggemann

Il ramo di mandorlo: ritiro spirituale in preparazione al S. Natale

martedì 20 novembre 2007 alle 21:00

Un avviso che magari può interessare chi è di Roma o dintorni. Domenica 2 dicembre terrò un ritiro spirituale dedicato a questo tempo ormai prossimo di preparazione al S. Natale. Il titolo "il ramo di mandorlo" fa riferimento al tema che mediteremo insieme in ascolto della Parola di Dio. Si tratta in estrema sintesi del mistero del compimento e della realizzazione delle promesse di Dio sulla nostra vita

Mi fu rivolta questa parola del Signore: "Che cosa vedi, Geremia?". Risposi: "Vedo un ramo di mandorlo". 12 Il Signore soggiunse: "Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla" (cfr. Ger 1,11).

Di solito, soprattutto in vista del Natale, si leggono molto i testi profetici in rapporto con la "predizione" della venuta del Messia. Ma questa volta noi parleremo di quelle profezie "che non si sono realizzate". Quali sono e cosa dicono di Dio e a noi stessi le profezie "incompiute"?


Villa Nazareth

Associazione Comunità Domenico Tardini

Ritiro spirituale in preparazione del Natale



Il ramo di mandorlo


Tra promessa e compimento, tra scandalo e adorazione


Domenica 2 dicembre 2007

Congregazione Suore Domenicane di Santa Caterina da Siena

Via Massimi, 114/B

00136 Roma - tel. 06/97845301


Programma

Ore 10.00 Arrivo

Ore 10.15 Recita delle Ore

Ore 10.30 Prima Meditazione

Ore 11.30 Riflessione personale

Ore 12.30 Pranzo buffet

Ore 14.00 Seconda Meditazione

Ore 15.00 Riflessioni comuni e silenzio personale

Ore 16.00 Liturgia Eucaristica presieduta da Mons. Claudio M. Celli


Per iscrizioni: Lida 06 39729912, Laura 06 5142068 o Massimo 349 4751488

Il filo d'oro

sabato 17 novembre 2007 alle 22:16


Un filo d'oro.

C'è come un filo d'oro tessuto attraverso gli avvenimenti della nostra vita.

Ma noi vediamo e sentiamo a volte solo problemi, angoscia. La nostra vita sembra sconvolta da ondate successive di imprevisti, cose andate storte. A volte felici perchè qualcosa va bene, altre depressi perchè qualcos'altro è sopravvenuto e ci ha disilluso.

Una successione di eventi di cui non riusciamo a cogliere il nesso, la direzione.
Tutto sembra andare a caso, e ci adattiamo... cominciamo a vivere alla giornata: questo mi piace, lo faccio, quest'altro non mi piace lo evito.

Anche per le persone che amiamo succede così. A volte stentiamo a capire la strada verso cui una vita si incammina.

Ma c'è un filo d'oro. Un filo prezioso Dio sta tessendo nella nostra vita con infinita pazienza, amore, misericordia... speranza.

Un filo che dà senso a tutta la nostra storia, le nostre scelte, giuste o sbagliate che siano.
"Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" dice l'Apostolo Paolo (cfr. Rm 8,28).

Per grazia, per dono, se perseveriamo nella nostra ricerca di Dio, nell'ascolto della sua Parola ci è dato a volte di scorgerlo. Anzi di vederlo, e anche molto bene.

Un filo d'oro che riluce bellezza, delicatemente tessuto attraverso trame di incertezza, paure, sbagli, monotonia, prove e anche peccati.

Un filo d'oro che riaccende energie dimenticate, e fa esultare la speranza.

E allora cominciamo a capire. Capire che la nostra vita, la vita di chi amiamo, fatta di pezzi che sembravano ormai frantumanti e indecifrabili, stanno assumendo decisamente e stupendamente un senso che nemmeno osavamo immaginare.

Bellissimo.

E allora ricomincamo a sorridere. Diventiamo gelosi. Ma gelosi di questa bellezza che Dio sta tessendo in noi e negli altri. Vogliamo collaborare al meglio. Favorire e non danneggiare questo capolavoro in corso d'opera. E' la nostra stessa vita. La vita di chi chi ci sta vicino.

Abbiamo bisgno di pregare di più. Di più silenzio. Di più profondità. Di più ascolto.



Cantate inni al Signore con l'arpa,
con l'arpa e con suono melodioso;
con la tromba e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.

Frema il mare e quanto racchiude,
il mondo e i suoi abitanti.
I fiumi battano le mani,
esultino insieme le montagne.

Esultino davanti al Signore che viene,
che viene a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia
e i popoli con rettitudine (cfr. Sal 97).

Dispensatori di Vangelo... e di pane

mercoledì 14 novembre 2007 alle 21:03


L’evangelizzazione è la perenne ansia della Chiesa, perché è il testamento lasciatogli da Gesù. Anche là dove essa è impegnata in opere di promozione umana e sociale, come qui in Madagascar, l’evangelizzazione è e resta la sua priorità ed il segno della sua fedeltà al Maestro.

È difficile spiegarlo a volte. Molti apprezzano dei missionari il fatto che essi non si limitino a …fare delle prediche, ma diano un piatto di riso a chi è affamato ed una medicina a chi soffre. Per molti questo è un segno di credibilità e di autenticità. A volte capita di sentire apprezzamenti generosi anche da parti di non credenti… Ma ogni missionario (e cristiano) sente che dare Gesù ed il suo vangelo è più importante che distribuire un pezzo di pane. Questo non toglie che in Missione accanto alla chiesetta sorge subito la scuola ed il dispensario, e che a volte l’80% del tempo materiale è dedicato all’opera umanitaria, ma sempre nella certezza che Gesù è la ricchezza più grande che si possa offrire ad ogni uomo, anche ad un povero. Se offriamo quel piatto di riso è in nome di Gesù e dell’amore che lui ci ha insegnato. Se non fosse così mi sentirei solo un commediante.

Noi Redentoristi in Madagascar siamo impegnati in tante opere sociali: dalle scuole ai dispensari, dalle mense per i poveri all’aiuto ai bambini malnutriti, dalla formazione professionale all’alfabetizzazione degli adulti. Eppure la nostra priorità e ragion d’essere è l’annuncio e la testimonianza del Vangelo. Senza quest’annuncio saremmo solo degli operatori sociali, e le nostre stesse opere perderebbero la loro spina dorsale.

Questa evangelizzazione si realizza nell’annuncio che fanno direttamente i missionari, ma anche nella formazione d’altri evangelizzatori. È per questo motivo che da due anni siamo impegnati in un Centro di formazione per i catechisti.

In questo centro arrivano ogni anno una decina di famiglie, provenienti per lo più da villaggi di foresta. Durante tutto l’anno essi abitano con noi e condividono la nostra vita. Sono formati per il loro ministero d’animazione delle comunità cristiane (teologia, catechesi e Bibbia), ma imparano anche dei mestieri pratici per poter elevare il loro tenore di vita e sostenersi economicamente una volta tornati nei loro villaggi.

Finito il corso queste famiglie catechiste sono inviate solennemente nei loro villaggi d’origine dove saranno responsabili dell’animazione cristiana di tutta la comunità cristiana. In molti dei villaggi di foresta il sacerdote passa in tournée a scadenze 6 mesi o un anno. Sono i laici, i catechisti appunto, a tenere vive ed attive le comunità cristiane: a presiedere alla liturgia domenicale, ai riti religiosi (funerali), a guidare la catechesi e preparare la celebrazione dei sacramenti al passaggio del sacerdote. Il loro lavoro laicale tiene in vita migliaia di piccole comunità a volte in posti irraggiungibili per i missionari. La chiesa in terra di missione si regge più che su teorie sul laicato, sul lavoro costante di questi collaboratori.

p. Lorenzo CSSR



Come una stella cadente

lunedì 12 novembre 2007 alle 15:40
Ho letto il bel post che il carissimo Lorenzo (da non confondersi in questo caso con l'altrettanto caro p. Lorenzo) ha messo sul suo blog (Diario di bordo).

I poeti (e gli artisti in genere) hanno il dono di saper dire in modo splendido quello che c'è non solo nel loro cuore ma nel cuore dell'uomo in genere. Credo che in ognuno di noi, chi più che meno, ci sia questa capacità.. magari nascosta. In ogni caso è bello poter ritrovarsi e sentire come proprie parole, immagini, suoni e melodie forgiate da altri compagni di viaggio. A volte è una musica, a volte un'immagine o una parola.. qualcosa che riesce a farti dire: ecco! è proprio così per me, è quello che sento e vivo anch'io adesso! Magari l'immagine della stella "cadente" è imperfetta... ma lo è del resto il linguaggio stesso, che nella sua imperfezione aspira a compiersi Lì dove non ci sarà bisogno di parole per capirsi...


Con il suo permesso fraterno faccio mie le sue parole e i suoi desideri.
Buona lettura. E grazie a te Lore.





Sono nato il 10 di agosto, quando il cielo si dipinge e s'incendia di mille stelle luminose. E sono sempre stato orgoglioso di questo fatto e ne vado proprio fiero, fiero di un qualcosa che non di pende certo da me, e nemmeno dai miei genitori, e da nessun altro se non da Dio stesso, Colui che decide.

Non voglio vivere molto, ma la vita che vivo la voglio vivere a mille. Non a dieci, non a cento, ma a mille. E vorrei che il mio passaggio su questo mondo, il mio attraversamento fra gioie e dolori, fosse come quello di una stella cadente che passa nel cielo: un vero e proprio incendio d'Amore, dentro e fuori di me.Come una stella cadente. Il suo passaggio è veloce, deciso, e lascia una scia luminosa nel cielo azzurro-blu-scuro, inconfondibile. Il suo passaggio, forse inconsapevolmente, fa accendere un sorriso nel cuore e nel viso di tutti colori i quali hanno la fortuna di osservarne il tragitto. Loro non sanno dove la stella cadente abbia esaurito la sua energia nè da dove essa sia scaturita, nè perchè sia apparsa proprio in quell'attimo e non prima e nemmeno dopo... però sono contenti di essere stati testimoni ed esprimono il loro più intimo desiderio confidando che quel segno del cielo sia un segno di benevolenza.

Così voglio vivere e non in un altro modo. Questo è il mio desiderio per la mia vita. Essere acceso ed accendere. Rimanere acceso, lasciarmi accendere, divampare nel buio delle giornate faticose e ravvivare luoghi e persone attorno a me.

Dunque, accogliere La Luce per essere Luce, accogliere l'Amore per essere Amore, custodire la Vita dentro di me per ridonarla agli altri. Accogliere il Bene per essere Bene, godere di ogni cosa esistente e condividere la Gioia della vita con chiunque abbia voglia di farlo con me, anche se fosse soltanto per cinque minuti del suo preziosissimo tempo. E così avanzare velocemente, incessantemente, procendendo assieme nell'infinito Cielo, correndo verso il giorno in cui ci sarà una stella in meno e gli uomini non potranno più sorridere del mio passaggio.

Le lacrime del profeta, l'esperienza dell'esilio

sabato 10 novembre 2007 alle 16:58


Oggi vorrei condividere questa profonda riflessione di Pietro Bovati sul senso delle lacrime e del dolore del profeta Geremia di fronte all'indurimento del cuore del suo popolo, amato immensamente da Dio e lui stesso...


Il peccato di Giuda è totale: non solo perché nessuno ne è esente, ma soprattutto perché esso non è percepito come peccato. Il cuore indurito non capisce di volere il male; non capisce perché venga minacciata una sanzione, e deride tale prospettiva; non capisce infine quando la collera divina col­pisce con la punizione (2,19; 44,15-19).

Quando il male si rivela così profondamente, quando l'insipienza dell'uomo raggiunge il suo culmine, la parola del profeta si muta in pianto:


«Chi farà del mio capo una

fonte d'acqua, dei miei

occhi una sorgente

di lacrime, perchè pianga

giorno e notte

gli uccisi della figlia

del mio popolo?» (8,23).


«Se voi non ascolterete,

io piangerò in segreto

dinanzi alla vostra superbia;

il mio occhio si scioglierà in lacrime,

perché sarà deportato il gregge del Signore» (13,17).

«I miei occhi grondano lacrime

notte e giorno, senza cessare» (14,17).


Queste lacrime sono in primo luogo segno di compas­sione per il popolo che il profeta ama perché è il «suo» popolo. Come il pianto di Gesù su Gerusalemme (Lc 19,41), il pianto di Geremia non è solo lo sfogo per un'amara delu­sione, ma è piuttosto un'ultima muta parola che invita il pec­catore a convertirsi, e che intercede presso Dio.

Le lacrime sono inoltre un gesto profetico che anticipa ciò che faranno gli abitanti di Gerusalemme, una volta deportati in terra straniera o condannati alla miseria nel loro paese devastato. Basti pensare alle Lamentazioni:


«Ah, come sta solitaria

la città un tempo ricca di popolo...

Essa piange amaramente nella notte,

le sue lacrime scendono sulle guance» (Lam 1,1-2).


Ad alcuni cattivi interpreti della storia biblica questa situazione può sembrare la fine. A causa del peccato radi­cale di Israele, si dice, viene inflitta una punizione radicale; non si capisce che si tratta invece del principio. Il compiersi della parola di Dio, con il suo destino di sofferenza per il peccatore, non è il segno del fallimento dì Dio nella storia; al contrario, il tempo delle lacrime è il tempo della fecon­dità.

Dicevamo che il cuore di Israele si era chiuso nell'osti­nazione del peccato; nessuna intelligenza, nessuna verità sembrava più possibile. Ora Dìo, nel suo misterioso dise­gno di sapienza, porta l'uomo nell'abisso della sofferenza e della umiliazione, così che il suo cuore venga spezzato; nel­l'insopportabile esperienza del dolore, nelle lacrime dell'e­silio, il peccatore rientra in se stesso, e si apre al riconosci­mento del suo peccato e all'ascolto della parola di Dio (Dt 30,1-2).


Geremia visse e predicò nel regno di Giuda tra il 622 e oltre il 587 a.C., nell’epoca convulsa che vide consumarsi la tragedia della città santa, del tempio e delle istituzioni che reggevano il popolo di Dio Perseguitato, incarcerato e percosso come traditore e disfattista a motivo del suo messaggio che non incontrava i progetti dei governanti, egli resta fedele alla sua missione: denuciare il peccato del suo popolo, proclamare la minaccia dell'esilio ma anche la speranza di una nuova Alleanza e una nuova relazione con Dio, fatta di amore e fedeltà incisa nel profondo del cuore e non solo su talvole di pietra.


Educarsi alla reciprocità

giovedì 8 novembre 2007 alle 12:58

Fratelli, non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore (Rm 13, 8-10).

Era la prima lettura di ieri sera.
Paolo parla ai primi cristiani di un unico debito da non doversi mai saldare.
L'amore vicendevole. O, in altre parole, la reciprocità.

Educarsi alla reciprocità non è facile.

E' più facile essere o quelli che ricevono sempre, o quelli che danno sempre.
Un rapporto umano e ancor più cristiano così non può funzionare. Non funziona perchè se solo riceviamo o solo diamo, non c'è proprio rapporto, non c'è comunione.

E' senz'altro più facile ricevere. Chiedere, pretendere, avere diritti. Pensare di averli sempre. Spesso è questa la realtà concreta - infantile - che viviamo.

Se invece pensiamo al nostro "dover essere", spesso immaginiamo (e predichiamo - agli altri) l'amore come un dover dare sempre, gratuitamente, senza sperare ricompense. Ebbè non l'ha detto Gesù? Sento subito che mi dite... Sì certo, ma non so se le abbiamo capite proprio bene queste parole.

Già, perchè in Dio non funziona così. Non c'è uno che dà e basta. C'è assoluta comunione: ossia: il Padre è colui che da sempre dona tutto se stesso al Figlio ma il Figlio è appunto colui che riceve tutto dal Padre. Dare e ricevere sono allo stesso tempo e in modo indisgiungibile Amore, Spirito Santo. Senza contare poi che il Figlio a sua volta riama totalmente il Padre e quindi è il Padre poi a ricevere amore e obbedienza... ancora: Spirito Santo.

Ecco, quando tra due persone o più c'è questo dinamismo di vita di dare e ricevere (ma non dare solo per ricevere) c'è Dio tra loro e in loro.

Ma, dicevo, educarsi a questa reciprocità non è facile.

Occorre grande delicatezza. Io educo te tu educhi me. Se abbiamo chiaro l'obiettivo ci possiamo dare una mano insieme.

Primo: non nascondere o reprimere il proprio bisogno di ricevere dall'altro amore, stima, considerazione. Se lo reprimi ti illudi di amare... tanto verrà fuori mascherato in tanti altri modi. Meglio dirselo. Ma non farne nemmeno all'altro un peso, una condizione. Se lo dici, prima di tutto hai fatto un atto di onestà verso te stesso. Non sei un eroe. Sei come me e come tutti, anzi come Dio! Hai bisogno di ricevere amore. Se il Figlio non ricevesse amore dal Padre, nemmeno esisterebbe, anzi non esisterebbe Dio stesso!

Fare notare le mancanze di amore verso noi stessi (non sempre certo, ma neanche mai!). Con garbo, delicatezza. O come meglio vi riesce. Questo ovviamente con la persona, i fratelli o le sorelle con cui volete provare a vivere il vangelo che Paolo annuncia. Che è l'Evangelo di Cristo!

Nello stesso momento chiedersi se sappiamo avere verso l'altro le stesse attenzioni che desideriamo. Ma non è una cosa che possiamo fare da soli. Assolutamente no.

La reciprocità (l'amore) non si costruisce da soli: sarebbe una contraddizione in termini!

L'altro deve essere libero di dirmi cosa io non so fare, dove manco nell'amore, nell'attenzione. Una comunità, una coppia che si abitua a mandare giù rospi dalla mattina alla sera forse si sentirà eroica... ma non vivrà la comunione.. e prima o dopo esploderà. O imploderà.. le varianti sono diverse. Ma il risultato il medesimo: nessuna reciprocità, nessuna comunione.

Educarsi a questa reciprocità non è facile.

Ma se trovate qualcuno con cui potete fare questa esperienza benedite Dio con tutto voi stessi... sarete sulla strada verso il Paradiso. Anzi gusterete già su questa terra martirio e ricompensa, dolore e gioia, riso e pianto, croce e resurrezione.

Sì, perchè l'Amore è tutto questo. E ne vale la pena.
Un abbraccio a tutti.


Ancora su Zaccheo...

lunedì 5 novembre 2007 alle 21:50

Ancora a proposito di Zaccheo, riporto una bella testimonianza di Alessandro Pronzato:


Una domenica a Porto Azzurro, non precisamente a contempla­re il mare stupendo che accerchia l'isola d'Elba. Ero all'ergastolo, inguainato nei paramenti sacri, addossato a un altarino traballante, là dove si incrociano i vari bracci del carcere tetro.

Seicento uomini condannati a vita che ti fissano, tra il curioso e il diffidente. Loro si presentano così: «ci hanno fermato l'orolo­gio». Che tradotto suona: «ci hanno ucciso la speranza».

E’ arrivato il momento del Vangelo. Un'esperienza agghiaccian­te, che ricordo ancora come un incubo.

Mi sono ritrovato con un microfono sfrigolante davanti alla bocca. E le parole che stavano giù, a raspare in gola, e non si deci­devano proprio a venir fuori.

Cinque minuti di silenzio allucinante.

Loro mi scrutavano, stavano sul chi vive, quasi mi sfidavano. Certo mi prendevano le misure.

E io mi domandavo, angosciato, che cosa potevo dire, e se aves­si diritto di parlare.

Avrei voluto vederli quelli che, sulle riviste specializzate, teo­rizzano sull'attualizzazione del messaggio tenendo conto della situa­zione concreta degli ascoltatori. Avrei voluto vederli senza la penna in mano, e con quel microfono e soprattutto quelle facce davanti...

Sono stato salvato non dalle loro teorie, ma da Zaccheo. E’ stato lui a tirarmi fuori da quella situazione imbarazzante.

L'ho canonizzato immediatamente. Sì, per me è diventato san Zaccheo, protettore dei predicatori che, almeno qualche volta, pro­vano vergogna a parlare. Può bastare un miracolo. L'ha compiuto, per me, all'interno di un ergastolo. Tengo le prove.

Non so perché, ma l'immagine di quell'omino che si lasciava scivolare giù dal sicomoro, frutto maturato alla luce improvvisa di uno sguardo, mentre la gente si scansava per non essere colpita da quel proiettile umano, mi si è imposta perentoriamente, quasi con forza.

Zaccheo me ne aveva messo in bocca una diversa.

Mi fidavo di Zaccheo, del suo intervento provvidenziale.

Ho spiegato che la fede di Zaccheo è nata « dopo ».

Precedente c'è stata la fede del Cristo.

Il Cristo ha creduto in lui, quando gli altri ormai l'avevano giu­dicato e liquidato definitivamente come un poco di buono, uno da cui stare alla larga.

Ho parlato per tre quarti d'ora ‑ me l'hanno detto gli altri ‑senza mai perdere di vista la sagoma di Zaccheo.

E ho concluso: « Gli uomini vi hanno giudicato e condannato. Si sono liberati di voi. Molti dei vostri familiari (e sapevo a che cosa mi riferivo) non credono più in voi. Li avete delusi. Voi stessi avete smarrito chissà dove la fiducia, non credete più in voi stessi. Ebbene, ricordatevi ‑ e qui ho cominciato ad adoperare il «noi» ‑che qualunque cosa abbiamo fatto, per quanto grande e opprimente sia il peso delle nostre miserie, per quanto buio sia il nostro pas­sato, per quanto fallimentare sia stata la nostra vita finora, c'è Qualcuno che, nonostante tutto, continua ostinatamente a credere in noi e ad aspettarsi qualcosa di diverso da noi...

• Aver fede significa credere in Uno che crede in noi.

• Dobbiamo precipitarci, come Zaccheo, giù dall'albero delle rassegnazioni, dei rimorsi e delle paure, rispondere a una voce che ci chiama per nome, per rinfacciarci non le nostre malefatte ma le nostre possibilità ancora intatte ».

Alla fine, uno di loro, con la poesia nel sangue, ha sintetizzato la mia predica con un grido:

«Qualunque cosa Ti abbiamo fatto,
sia giorno anche per noi, o Signore!»

 













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