La sofferenza (parte I)

mercoledì 3 ottobre 2007 alle 11:16


“L’umanità di Gesù è divina! Ed è la via indicata ad ogni uomo che può così mettersi alla scuola di Gesù per imparare a vivere secondo la volontà di Dio. Il mistero dell’incarnazione ci dice che la vita di Gesù, nel suo quotidiano e umanissimo dipanarsi fatto di incontri e amicizia, di servizio e amore, di dedizione ai fratelli e obbedienza al Padre, ci insegna a vivere secondo Dio”. A parlare è padre Luciano Manicardi, monaco della comunità di Bose e apprezzato biblista. Gli abbiamo rivolto alcune domande sul tema della sofferenza che, in varie forme e modi, caratterizza la nostra condizione umana.

Padre Manicardi, Dio non spiega il mistero della sofferenza, ma attraverso Gesù, uomo fra gli uomini, condivide il dolore umano. Secondo Lei, come si può spiegare ad un giovane la dimensione del dolore e la sofferenza nel mondo?
Sul problema del male e della sofferenza la Scrittura non offre soluzioni, non risponde al “perché?”, ma presenta la possibilità di una consolazione, presenta una possibilità di dotare di senso la sofferenza, di assumerla, di farne un’occasione per imparare a vivere e a seguire il Cristo crocifisso, di rendere vivibile e tollerabile ciò che rischia di essere assurdo e insopportabile. La nostra domanda angosciata “Dov’è Dio?” o “Dov’era Dio?” di fronte allo sterminio di persone innocenti, di fronte alla morte assurda del bambino, di fronte alla morte tragica dell’amico e del coetaneo, di fronte alla malattia che stronca una vita ancora giovane e nel pieno delle forze, di fronte insomma alle tragedie che devastano le esistenze personali e le storie dei popoli, sembra non trovare risposta…

E tuttavia il vangelo ci narra che Dio è proprio là, tra le vittime. Gesù, l’Emmanuele, il Dio-con-noi, si trova anche lui tra i bambini al di sotto dei due anni che vengono condannati a morte dal re Erode…
Certo, e pertanto possiamo dire che di fronte al dolore e alla sofferenza, anche il cristiano scopre la propria inermità: anche il cristiano non conosce una strada che aggiri il dolore, ma piuttosto una strada che, insieme con Dio, lo attraversi. Nella sofferenza, nell’enigma del dolore e del lutto, il cristiano sa di avere una Presenza a cui può sempre rivolgersi, a cui può gridare, che può anche contestare, con cui può protestare, e questa presa di parola di fronte alla sofferenza non elimina certo il dolore ma aiuta a darvi un senso, a elaborarlo. Aiuta a maturare umanamente e nella fede. Sarebbe veramente indegno del cristianesimo il pensare che la fede debba, e possa, esentare il cristiano dalla sofferenza e dal male che colpisce tanti e tanti uomini.

Come reagire?
Occorre accedere alla comprensione che la sofferenza è costituiva dell’esistenza. E dell’amore: la passione di amore, non è solo trasporto, estasi, beatitudine, ma anche sofferenza, angoscia, ansia. E questo perché l’amore esige un vivere con un altro. E sarebbe una concezione magica, astratta, che non tiene conto dell’incarnazione, il pensare il Dio cristiano, sulla scia delle rappresentazioni pagane e filosofiche, come essere asettico, impassibile e distaccato dalla realtà, che non scende dai cieli in cui abita: un Dio del settimo piano che non si interessa di ciò che avviene al piano terra.

Dunque, il Dio biblico è il Dio che prende sul serio la sofferenza umana e si presenta come Dio che si compromette con l’uomo sofferente, che si abbassa per condividere la sua situazione e per fare strada con lui?
È il Dio compassionevole. Questo annuncio che il cristiano vede rappresentato al meglio nella croce di Cristo, contiene in sé una grande speranza per l’uomo sofferente: non ci sono situazioni disperate, infernali, in cui l’uomo non possa sperimentare la vicinanza di Dio. Per quanto in basso cada l’uomo, l’ultimo e più basso posto è già stato occupato da Cristo. [...]

(di Carlo Silvano)

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