Di A. Pronzato:
Mi impressiona sempre il dialogo che precede il miracolo della moltiplicazione dei pani.
‑ Congeda la folla ‑ suggeriscono i discepoli.
‑ Dategli voi stessi da mangiare ‑ impone perentoriamente Cristo.
Qui viene espresso il nostro istinto, che affiora regolarmente, di sottrarci agli impegni più gravosi dietro l'alibi dell'impossibilità, della sproporzione (« non abbiamo che cinque pani e due pesci » per cinquemila persone!) e l'imperativo di Cristo che ci fa carico della fame altrui.
Il teologo domenicano padre Congar usa una formula assai efficace: « Ogni cristiano, spirítualmente parlando, ha famiglia a carico ». Una famiglia a dimensione del mondo.
Il cristiano, questo responsabile di tutto e di tutti.
Tale responsabilità trova la sua investitura ufficiale nell'Eucarestia.
Ricevere l'Eucarestia non significa soltanto ricevere il corpo di Cristo. Si tratta di ricevere il sacramento degli uominí, le loro attese, le loro esigenze, i loro problemi, i loro drammi.
Non basta comunicare con Lui Bisogna comunicare con mondo.
Non è sufficiente « fare la comunione ». Occorre « fare comunione » con i fratelli, ossia realizzare l'unità, essere operatori di pace e di concordia.
Nella festa di oggi l'Eucarestia cessa per una volta di essere il sacramento del nascondimento, per essere esposta, manifestata. Il corpo di Cristo viene portato in processione. « Esce » per le strade.
La processione ha un duplice significato.
Sta a simboleggiare la nostra condizione di « itineranti », pellegrini, creature che « non hanno quaggiù una stabile dimora », ma sono in cammino verso la vera patria. In questo cammino l'Eucarestia diventa il pane che sostiene, dà forza. Qualcosa di vitale, indispensabile.
Ma la processione si snoda attraverso le vie, in mezzo alle case, alle piazze. Ossia, Cristo passa là dove l'uomo abita, vive, lavora, ama, soffre, spera. E viene in tal modo sottolineato il nesso che esiste tra Eucarestia e vita.
I drappi, i fiori, le luci, gli addobbi, i colori, sono simboli di ciò che deve avvenire quando una comunità cristiana si nutre del « pane di vita »: la realtà viene trasformata. Le « solite cose » non sono più le stesse: sono toccate da una forza di amore che le cambia dall’interno, le fa splendere, dà loro un significato.
L'Eucarestia, ossia tutto viene cambiato radicalmente.
Eucarestia non è « stare » con Cristo in un rapporto intimistico. Significa « uscire » con Lui per le strade, inserirsi nell'avventura degli uomini.
Non basta credere alla « presenza reale ». Occorre assicurare la presenza reale di Cristo nel mondo attraverso la nostra testimonianza, il nostro impegno a soddisfare la fame degli uomini.
Sono sempre tentato di correggere: andate, perché la Messa non è finita. Non finisce mai.
Questo, infatti, è un inizio. Non una conclusione.
Si tratta, senza dubbio, del momento più difficile della Messa.
Si va, non perché è finito qualcosa, ma perché sta per cominciare qualcosa.
Il congedo non vuol dire: « Bravo avete fatto il vostro dovere di cristiani esemplari, potete andarvene tranquilli », ma: « E’ venuto il vostro momento. Adesso tocca a voi ».
Quindi, non segnale di riposo, ma segnale di mobilitazione.
Non « missione compiuta, ma « partenza per una missione delicata ».
Vedo, talvolta, qualcuno che «esce» dalla Messa con l’aria soddisfatta di chi ha fatto il proprio dovere. Qualcosa come: « Per oggi questa faccenda è sistemata, questa pratica è sbrigata ».
No. Celebrare l'Eucarestia significa assumersi un impegno che viene assolto « dopo », lungo la giornata.
Significa continuare.
Significa agganciarsi alla vita quotidiana.
La Messa finisce come azione liturgica e comincia come celebrazione della vita.
Finisce il rito e ha inizio il gesto vitale.
Ci si alza da Mensa e si attacca a lavorare, a costruire il Regno.
Insomma: si porta fuori ciò che si è ricevuto.
Si porta fuori ciò che siamo diventati.
Nella cappella di un monastero svizzero nei Grigioni è stata realizzata proprio quest'idea della « continuitá » della Messa. Dal massiccio altare partono fasci di raggi. Una specie di torrente che precipita sul pavimento, si allarga, sbocca all'esterno e invade i corridoi, le sale...
Come a dire: tutto comincia di qui e finisce fuori. Meglio: non finisce.
L'altare è un punto di partenza. Ma l'avventura non può mai ritenersi conclusa. La missione non è mai compiuta.
Non è possibile fissare un termine alle sorprese.
« La Messa è finita; andate in pace! »
E’ brevissima, e relativamente facile la strada che porta a Messa.
Ma diventa interminabile e ardua quella che porta la Messa, l’Eucarestia alla vita.
E gli unici segnali sono quelli dell'attesa...
Per favore, oggi non ripariamoci, « devotamente », sotto il fastoso baldacchino.
Usciamo allo scoperto.
Ci accorgeremo che anche Lui viene con noi. A scoperchiare i tetti.
Non aspetta altro.
Cristo non è venuto per «stare al riparo ». E’ impaziente di condividere l'esistenza reale degli uomini
apparte l'ora tarda per scrivere un blog :-),hai risposto a pieno alla domanda che mi ero posto!ma Cristo non ha detto date voi stessi da mangiare?!?perche loro non hanno compreso le sue parole?
Simone