Una parabola scandalosa (o le "irregolarità" secondo Dio?)

domenica 23 settembre 2007 alle 10:51
... L'amministratore disse fra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare...

Luca 16, 1‑13

Un pensiero di A. Pronzato...

Si tratta, indubbiamente, di una parabola imbarazzante, perfino scandalosa.

Un latifondista capta alcune voci circa irregolarità amministra­tive compiute da un suo fattore. Lo manda a chiamare.

L'interessato non pensa neppure a discolparsi. I libri contabili gli danno torto. Il licenziamento risulta inevitabile.

Ciò di cui si preoccupa è del proprio futuro. L'unica maniera per cavarsela, dal momento che non saprebbe fare altri mestieri, consiste nel procurarsi degli amici.

Ed eccolo subito in azione. Convoca i debitori del suo padrone ‑ probabilmente mercanti‑grossisti ‑ e riduce notevolmente l'am­montare del loro debito. Una riduzione del venti per cento per il grossista di grano, e del cinquanta per quello di olio. In ogni caso, l'abbuono è di parecchi milioni.

Bella maniera di « sistemare » uno scandalo amministrativo! A una serie di irregolarità si rimedia con altre irregolarità. Scoperta una truffa, si evitano le conseguenze spiacevoli con altre operazioni truffaldine.

E il tutto con la benedizione del padrone che « lodò quell'am­ministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza ». Anzi, secondo l'opinione di certi studiosi, l'approvazione non sarebbe del padrone, ma del Signore! Ossia Gesù stesso ammira il comportamento del fattore infedele.

Per questo molti parlano di scandalo.

Qualcuno la definisce come « la più raccapricciante delle para­bole ». Una vergogna, insomma. Non c'è più religione, dal momento che Dio stesso tiene il sacco a un ladro.

Cerchiamo di mantenere la calma.

L'approvazione del Signore all'amministratore disonesto, cer­to. Tuttavia la lode non riguarda la sua disonestà, bensì la scaltrezza di cui ha dato prova. Gesù non pronuncia un giudizio morale sulla condotta truffaldina. Apprezza l'intelligenza e l'intraprendenza del furfante.

Nell'interpretazione di una parabola, bisogna evitare l'errore di trovare a ogni costo un significato, un'applicazione pratica ‑ o, peg­gio, un motivo edificante ‑ in ogni particolare. Occorre cogliere il «punto centrale», il motivo dominante, la lezione di fondo, senza soffermarsi sugli elementi di contorno.

Ora, nel nostro caso, la lezione fondamentale non è quella del­l'ingiustizia, ma della capacità di tirarsi fuori da una situazione critica.

Il Signore ama le persone che si danno da fare, che non si di­menticano di possedere un cervello, che ricorrono alle risorse della fantasia.

Qui l'amministratore infedele trova un varco che gli permette di uscire dalla sua situazione drammatica attraverso una scoperta de­cisiva: la scoperta degli altri. Finora non si era accorto, praticamen­te, della loro esistenza, aveva pensato solo a sé, ai propri interessi. Adesso scopre la realtà dell'amicizia. Dispone, ancora una volta in­giustamente, della proprietà che deve amministrare, però non più per sé, ma a vantaggio degli altri. E la propria salvezza passa attra­verso questa apertura agli altri.

E’ una lezione essenziale per la Chiesa. Che non è padrona, bensì semplice amministratrice e dispensatrice dei tesori del suo Signore. La Chiesa non può vivere in un circuito chiuso, pensando a sé, alla propria sicurezza, ai propri diritti, al proprio prestigio, al pro­prio potere. Deve « mettere in circolazione » i beni del suo Padro­ne. Deve scoprire la propria identità nel suo « essere per » gli uomini.

La Chiesa non può trasformare la propria vocazione in autoge­stione o, peggio ‑ come dice A. Maillot ‑ in autodigestione.

Elezione non significa privilegio, ma servizio.
I beni del Signore vengono « dissipati » quando sono tenuti per sé. chiusi, protetti, difesi.
La colpa non sta nel dilapidare. Ma nell'appropriarsi. Nel non dilapidare a vantaggio dell'umanità.

Chi può illudersi di saper amministrare fedelmente? Eppure, la vera, grossa infedeltà consiste nel non largheggiare, nel non distri­buire a piene mani.

Ed è bello, è giusto, che la Chiesa ‑ come l'amministratore che si dichiara incapace di maneggiare la zappa ‑ non sappia, non possa, non debba fare altri mestieri. L'unico suo mestiere, l'unica sua spe­cializzazíone, infatti, è perdonare, usare misericordia, compatire, comprendere, aprire, liberare.

La lezione riguarda anche ciascuno di noi.
Nessuno ha i registri a posto.
Per poco che Dio ci dia un'occhiata, c'è da tremare.
I conti con Lui non tornano mai.

Ebbene, la parabola ci insegna a compiere « irregolarità ». In altra maniera.
Dio ama le « irregolarità » che vanno a vantaggio del prossimo.

Si tratta di minimizzare le colpe degli altri (e non di maggio­rarle, come facciamo abitualmente), ridurre i loro difetti, cancellare le offese, tirare una riga sopra i torti, non ragionare in termini di diritti o ragione ma in termini di amore.

Le nostre mani ridiventano « pulite » quando le spalanchiamo nel gesto del dono, quando « dissipiamo » per regalare gioia, luce, speranza.

Col prossimo non sono consentite le misure « giuste ». L'unica misura consentita è la « dismisura », l'eccesso. Allora il Signore tornerà a fidarsi di noi. Certo, mancherà sempre qualcosa nei nostri conti. Farli quadra­re sarà praticamente impossibile.

Lui però è soddisfatto egualmente della nostra « cattiva ammi­nistrazione ». Perché ciò che manca dovrà andarlo a cercare «al­trove», e non nel nostro portafoglio.

I suoi beni sono al sicuro nelle tasche degli altri, che sono poi i legittimi destinatari.
E noi ci saremo fatti degli amici che parleranno bene di noi presso l'Amico.

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