Vita insieme

martedì 2 gennaio 2007 alle 16:42

Oggi è la memoria liturgica dei santi Basilio e Gregorio, e la loro testimonianza di comunione fraterna mi rimanda a queste parole del Signore:

Non prego solo per loro, ma anche per queli che crederanno in me mediante la loro parola: che tutti siano uno come tu, Padre, in me ed io in te, affinché siano anch'essi in noi, così che il mondo creda che tu mi hai mandato. 22 Io ho dato loro la gloria che tu mi hai data, perché siano uno come noi siamo uno: io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità, e il mondo riconosca che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me (Gv 17,20-23).

L’unità nella differenza. Ecco Dio–Amore e la sua beatitudine.
Ecco il dono dei doni che ci è stato dato.
Partecipare alla sua stessa vita, iniziando da ora.
È il paradiso. E invece lo sentiamo a volte come inferno, come condanna. Come è possibile?
Tutta la fatica di questa gestazione per la rinascita – che è questa vita – sta in questo.
Nel dire sì a questa beatitudine di Dio, che il nostro limite umano non regge, di solito.
Si intuisce qualcosa di quella beatitudine nell’esperienza dell’amore umano, con tutti i suoi limiti…
Ma anche qui, se dopo l’estasi dell’innamoramento non ci si siede alla scuola dell’Amore e non si accetta di imparare ad amare, tutto crolla.
Dobbiamo rinascere dall’alto (Gv 3,3). Accettare questa pienezza della vita di Dio, che la nostra piccolezza arriva a sentire come illogica, folle, mortale. Come si fa a dare tutto di sé per la comunione con l’altro? Che senso ha? Ok, magari quando l’altro mi ama, mi affascina, mi riempie… lo possiamo ammettere, forse. Ma quando l’altro, lo stesso/la stessa di prima, mi mette davanti la sua alterità irriducibile (e che io devo rispettare, altrimenti non c’è amore, ma inglobamento dell’altro), ossia i suoi gusti (diversi dai miei), le sue abitudini, i suoi difetti, il suo egoismo (che in tutti è duro a morire)… sentiamo la durezza, il non senso di questo Dio-comunione che ci vuole immettere nella sua logica folle.

È pane quotidiano per le coppie, sposate o no. Ma non voglio parlare a loro quasi fossi un esperto di problemi matrimoniali. Non sono sposato. Qui i veri esperti sono proprio gli sposi che vivono la loro vocazione “passo passo dietro a Gesù”. Ma condivido qualche pensiero che mi nasce dalla Parola e dalla mia piccola esperienza.

Penso alla vita comunitaria.

Bisognerebbe fermarsi tutti un attimo e chiedersi: ma io ci credo in quelle parole di Gesù? L’unità è per me il centro del vangelo? Eppure Gesù è chiarissimo: il mondo può credere in Lui solo se in noi vede vivere questo mistero di Dio-comunione. Altrimenti puoi fare qualsiasi altra cosa, ma impedisci al mondo di credere!
Qualsiasi altra cosa. Ma sei fuori. Anche se pensi di stare e credere in Lui.
Il mio Fondatore parla spesso di “morte dell’io”, di rinnegamento di sé (Mt 16,24).
Parole facili da equivocare, che portano il marchio: handle with care! Sennò ti fai del male, inutilmente.
Parole che contengono però una grande verità. Rinnega te stesso, mi suona come: rinnega tutto ciò che tu non sei! Tu sei amore. Accetta di morire, accetta la logica folle di questa comunione che ti costa la vita (o magari invece solo un po’ del tempo del tuo studio, lavoro, passatempo, ecc.) ed entra nella mia beatitudine!

In questi giorni di mi è capitato di leggere qualche scritto di Matta el Meskin, rinnovatore della vita monastica nel deserto di Wadi el Natrun in Egitto, monaco del monastero di san Macario (abitato ininterrottamente dai monaci dal IV sec. ad oggi, e che ha conosciuto una sorprendente rinascita spirituale dopo il 1969, e ora è abitato da oltre un centinaio di monaci, generati a Cristo nella vita monastica dal carisma di paternità spirituale di Matta el Meskin). Vi lascio con queste sue parole:

Se l’io che non è morto non è onorato dai membri della comunità, o è disprezzato da essi, allora odia pregare con loro e non può sopportare di stare in mezzo a loro o di cantare inni insieme e cerca sempre di evitare, per quanto possibile, queste situazioni. Ciò rivela che le sue preghiere e i suoi inni riguardano il suo onore e non quello di Dio o l’amore di Cristo. Si vede così quanto può essere falso il culto a Dio!

Quanto invece all’io che è morto, per lui la comunità è un luogo di amore, vita, gioia e lode a causa della presenza del Signore. L’anima che ama i fratelli ha attraversato la morte ed è giunta alla vita, perché il Signore è sempre presente in mezzo alla comunità

In Cristo, un caro saluto a tutti!

p. Salva

1 Responses to Vita insieme

  1. tangalor Says:

    Confrontando la vita familiare con la vita comunitaria ho notato che ci sono diverse analogie, per certi versi ma notevoli differenze per altre. Non so se il confronto fra le due realtà regge o può reggere, ma nella mia mente si è via via andato a formare. Mi sono chiesto: "Forse è per questo che le famiglie sono composte da un numero in genere limitato di persone? Forse il Signore ha pensato che se gli uomini si fossero riuniti in famiglie piccole sarebbe stato più facile per loro camminare insieme? Forse il Signore ha pensato: è difficle mettere d'accordo molte persone ed è difficile metterle d'accordo su tutto a partire dalle tovaglie da mettere a tavola fino ai più grandi e profondi problemi di fede e di apostolato; le famiglie saranno composte da un numero limitato di persone!". :) Questo pensiero mi è nato constatando nella pratica che la vita comunitaria è difficile, spigolosa e faticosa. Ho notato che è davvero dura, l'ho notato in pochissimo tempo su me e ho notato la fatica degli altri che da molto tempo la praticano. E' facilissimo rompere l'equilibrio tra le persone ma credo che ciò dipenda da un disequilibrio interiore dei singoli. C'è però una faccia della medaglia positiva, credo: puoi imparare ad amare. Può essere a volte deprimente, a volte stimolante constatare che non siamo capaci ad Amare. Deprimente perchè notiamo i nostri continui fallimenti ma stimolante perchè sappiamo bene che non si impara in un giorno ad Amare nè in un anno. Forse mi sono riallacciato anche al discorso dell'io: se penso io di poter amare, se penso che dipenda da me amare, credo che fallirò. Credo che il modo giusto sia un altro ovvero quello di buttarsi in Cristo Signore, di chiedere ogni giorno il Suo Santo Spirito su di noi e di chiedere a Gesù di venire ad abitare in noi: così non saremo più soli ad affrontare i disagi della vita, le discussioni, il bene ed il male; Gesù le affronterà con noi e, avendole vinte nella sua carne, le vincerà nella nostra debole carne perchè soltanto Lui sa bene come poterle affrontare e sconfiggere. Lui che ha sconfitto la morte in ogni sua forma ha il potere di sconfiggere la morte che si presneta spesso nel nostro cuore: noi, con le nostre sole forze, anneghiamo nel male del nostro cuore. Per amare occorre che il nostro essere cambi nella sua totalità: il nostro cuore deve purificarsi, la nostra mente pulirsi, i nostri occhi sfavillare di Luce. Mmhh... che ne pensate? Voglio imparare! Insegnatemi! :)

 













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