L'omologazione dell'intimo

martedì 8 settembre 2009 alle 14:54


La pubblicizzazione del privato è l’arma più efficace impiegata nelle società conformiste per togliere agli individui il loro tratto discreto, singolare, intimo.

Allo scopo vengono solitamente impiegati i mezzi di comunicazione che, dalla televisione ai giornali, con sempre più insistenza irrompono con indiscrezione nella parte discreta dell’individuo, per ottenere non solo attraverso test, questionari, campionature, statistiche, sondaggi d’opinione, indagini di mercato, ma anche e soprattutto con intime confessioni, emozioni in diretta, storie d’amore, trivellazioni di vite private, che sia lo stesso individuo a consegnare la sua interiorità, la sua parte intima, rendendo pubblici i suoi sentimenti, le sue emozioni, le sue sensazioni, secondo quei tracciati di spudoratezza che vengono acclamati come espressione di sincerità, perché in fondo: “Non si ha nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi”.
Coloro che si comportano in questo modo danno un ottimo esempio di quell’omologazione dell’intimo a cui tendono tutte le società conformiste, che alla massima “a ognuno il suo”, sostituiscono quell’altra “a ognuno il mio”, per cui finisce con il sentirsi “proprietà comune” e si comporta come se appartenesse a tutti. E poiché sa che se non si comportasse così, se rifiutasse espressamente questo comportamento, verrebbe considerato “sconveniente” e diventerebbe “sospetto”, lo fa anche con un certo ardore, con somma gioia di chi deve governare la società, perché, una volta pubblicizzata, l’intimità viene dissolta come intimità, e gli altri, che dovrebbero stare al confine eterno dell’intimo, diventano letteralmente “inevitabili”, ogni volta che qualcuno di noi prova una sensazione, un’emozione, un sentimento.

Questi tracciati segreti dell’anima, in cui ciascuno dovrebbe riconoscere le radici profonde di se stesso, una volte immessi senza pudore nel circuito della pubblicizzazione, quando non addirittura della pubblicità, non sono più propriamente miei, ma proprietà comune. E questo sia in ordine alla qualità del vissuto, sia in ordine al modo di viverlo, perché il pudore, prima che una faccenda di mutande che uno può cavarsi e infilarsi quando vuole, è una faccenda d’anima che, una volta de-psicologizzata, perché si sono fatte cadere le pareti che difendono il dentro dal fuori, l’interiorità dall’esteriorità, non esiste semplicemente più.
… Se la nostra vita è diventata proprietà comune allora perché non lasciarsi intervistare senza riserve e senza pudore? In fondo anche il nostro corpo è diventato una proprietà comune, e quel che un tempo era prerogativa di alcune dive –farsi misurare seni e sederi e pubblicare le misure sotto le fotografie- oggi è il gioco di qualsiasi ragazza che non voglia passare per inibita. Ma anche il sesso è diventato proprietà comune e, dalla stampa alla televisione, è un susseguirsi di articoli e servizi sui piaceri e sulle difficoltà, redatti sotto forma di consigli, in modo confidenziale, come se fossero rivolti solo a te, e non a un milione di orecchie avide di sapere quel che da sé non sanno più scoprire.

Questo significa “non avere nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi”. Significa che le istanze del conformismo e della omologazione lavorano per portare alla luce ogni segreto, per rendere visibile ciascuno a ciascuno, per togliere di mezzo ogni interiorità come un impedimento, ogni riservatezza come tradimento, per apprezzare ogni volontaria esibizione di sé come fatto di lealtà se non addirittura di salute psichica.

E tutto ciò, anche se non ci pensiamo, approda a un solo effetto: attuare l’omologazione totale della società fin nell’intimità dei singoli individui e portare a compimento il conformismo. In fondo non è un’operazione difficile. Basta “non avere nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi”, che tradotto significa: ”Sono completamente esposto”, “non custodisco nulla di intimo”, “sono del tutto de-psicologizzato”, ma in compenso ho guadagnato appariscenza, conformità sociale e forse qualche apprezzamento per il mio coraggio e la mia sincerità.

Da tutto questo nasce la necessità di rivendicare i diritti del pudore: non solo per sottrarre la sessualità a quella genericità in cui si celebra il piacere nel misconoscimento dell’individuo, ma anche e soprattutto per sottrarre l’individuo a quei processi di omologazione in cui ciascuno di noi rischia di perdere il proprio nome.

U. Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli, Milano 2007, 61-64

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