Is 35, 1-6. 8. 10
Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.
Appena l'annunzio della liberazione risuona, per il popolo schiavo avviene come una risurrezione. Il deserto e la terra arida, simbolo della miseria e del dolore, rifioriscono e si punteggiano di narcisi. I corpi degli esuli, deboli, mutilati, doloranti sono percorsi quasi da una nuova giovinezza; la storia dell'uomo acquista un sapore nuovo, è percorsa dalla libertà e dalla speranza.
Certo, il deserto resta arido; i ciechi, i sordi, gli zoppi e i muti di Israele non sono fisicamente guariti ma il filo verde della speranza trasforma desolazione e sofferenza e fa rinascere la gioia di vivere. Il profeta sintetizza questa risurrezione nella frase finale del brano odierno: «Gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto».
La vita - come scriveva S. Agostino - senza la speranza è come la superficie di un lago in un giorno nuvoloso, superficie metallica e grigia. La vita con la speranza resta materialmente sempre la stessa ma è trasfigurata: la superficie del lago è la stessa ma diventa uno specchio di colori se brilla nel cielo il sole.
La trasformazione del corpo, cioè dell'essere intero umano, è posta al centro anche della risposta autobiografica che il Cristo offre ai discepoli del Battista. Col suo ingresso nel mondo certamente molti malati sono stati guariti dai suoi miracoli ma soprattutto molti ciechi nello spirito, molti storpi nell'inerzia, molti lebbrosi nell'isolamento, molti sordi chiusi in se stessi, molti morti alla speranza sono stati liberati e salvati.
Ed è proprio con questo popolo di sofferenti, di poveri e di piccoli, spesso emarginati dalla società civile e religiosa ufficiale, che Cristo costituisce la sua nuova comunità a cui annunzia «la buona novella» del Regno e dell'amore di Dio.
La Chiesa è, quindi, affollata da questi ultimi che sono i primi agli occhi di Dio e ad essi deve dedicare tutto il suo impegno e la sua fraternità. Proprio come il Cristo che per portarli a sé è sceso fino alla loro miseria: «spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, umiliò se stesso facendosi obbediente sino alla morte di croce» (Fil 2, 7-8).
Il grande teologo e credente D. Bonhoeffer dalla sua agonia nel lager nazista il 16-7-1944 scriveva: «Dio si è fatto debole e impotente nel mondo e così e soltanto così rimane con noi e ci aiuta. Cristo non ci aiuta tanto in virtù della sua onnipotenza quanto piuttosto in virtù della sua sofferenza».
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