Tutto è pronto! (ma è' una festa non un funerale...)

domenica 12 ottobre 2008 alle 13:39

Il Regno dei cieli è simile a un re che fece un banchet­to di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chia­mare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire... Matteo 22, 1-14

Diciamo la verità.
E una parabola impossibile.
Riesce difficile, infatti, ammettere che degli uomini possano ri­fiutare un invito a nozze. Tanto più che si tratta di un re, non di un individuo qualunque.
E poi non c'è proprio nulla da perdere. « Tutto è pronto ». L'invito è all'insegna della più assoluta gratuità. Viene richiesta unicamente la presenza. Anche a mani vuote.
E riesce ancora più arduo comprendere, dopo il rifiuto dei pri­mi destinatari, quell'invito indifferenziato: « Andate ai crocicchi delle strade, e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze ».

Notiamo quel « tutti », senza distinzione.
Di fatto, « usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali ».

Che banchetto regale è mai questo, in cui vengono abolite le differenze, azzerati i ranghi, annullati i meriti, e addirittura i buoni si ritrovano a fianco con delle persone « indegne »?
Non c'è gusto. Via, un minimo di selezione, di classe. Non è bello ritrovarsi intruppati in una combriccola così scalcagnata. Il rango, le benemerenze acquisite, il buon nome, dovrebbero pur va­lere qualcosa.

Se il re premia così anche i cattivi, non vale proprio la pena comportarsi onestamente.
Infine, il terzo elemento « impossibile » della parabola: l'uomo sorpreso senza abito di nozze. Sembra strano che soltanto questo disgraziato sia stato ritenuto «indegno ». Eppure il reclutamento è stato fatto senza guardare troppo per il sottile. Naturale che gen­te presa alla sprovvista, agli angoli delle strade, non potesse pre­sentarsi abbigliata con decoro.
Già. Una parabola « impossibile ».

Perché sono non solo strani, ma addirittura «impossibili » i comportamenti degli uomini nei confronti di Dio. Impossibili ma reali, abituali.
Se Dio convocasse per una puntigliosa resa di conti, oppure per una discussione su alcuni problemi urgenti, non c'è dubbio che lasceremmo da parte ogni cosa, interromperemmo qualsiasi at­tività, ci presenteremmo puntualmente, compresi della gravità del­la cosa.
Oserei dire che se Dio ci chiamasse, come un Padrone esigente, a portare i frutti del nostro lavoro, a pagare ciò che Gli è dovuto, a regolare le nostre pendenze, faremmo la fila alla Sua porta, pa­zientemente. E i servi dovrebbero intervenire per disciplinare l'af­flusso.
Dio, invece, ci sorprende con l'invito a un banchetto nuziale. Che seccatura!
L'ideale cristiano non è una morale opprimente, ma una beati­tudine. Il credente non è uno schiavo curvo sotto il giogo di un codice, ma una persona liberata. L'esistenza cristiana non è una condanna, ma una festa.

E ciò ci sorprende, ci coglie alla sprovvista. Ci irrita.

La giustizia, la severità, la costrizione sono normali, logiche. La gratuita', quella dà scandalo.
Il dono imprevedibile, immeritato, quello non riusciamo pro­prio ad ammetterlo.
E allora non prendiamo neppure in considerazione l'invito. Non lo discutiamo.
Semplicemente, lo ignoriamo.
Ci comportiamo come se quella convocazione alla gioia non fosse mai risuonata alle nostre orecchie.

« Non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari ».
La vita continua affogata nelle solite meschinità, dispersa nelle solite cose insignificanti. Importante è correre, affannarsi, anche se non sappiamo dove si va e perché. Ci teniamo tanto alle nostre schiavitù quotidiane. Meno esigenti, dopo tutto, che non la libertà.
Qualcuno adotta perfino un comportamento villano e criminale
nei confronti dei messaggeri: « Presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero »
Fossero state guardie armate, incaricate di recapitare un man­dato di comparizione, le avrebbero seguite rispettosamente.

Quelli, invece, erano disarmati e recavano un invito. Un'offesa intollerabile.
L'uomo riscopre tutta la sua carica di violenza e di aggressività dinanzi a Chi non impone nulla, offre senza chiedere nulla in cambio.
L'uomo è disposto a pagare.
La gratuità gli è intollerabile.
L'uomo, ahimé, non sa usare le mani vuote per ricevere.

Ma fermiamoci sull'inquietante individuo sorpreso senza abito nuziale.
I commenti si sprecano. E non sempre convincono.
Qualcuno parla di opere buone, di virtù.
Evidentemente ci si dimentica che là dentro sono stipati « buoni e cattivi ». Il re, ovviamente, non ha richiesto il certificato di buo­na condotta. Sarebbe assurdo lo pretendesse a pranzo iniziato.
Mi pare, invece, assai interessante l'intuizione di un commen­tatore contemporaneo, A. Maillot, il quale spiega: quell'individuo ha frainteso sul significato dell'invito. Ha creduto di dover parte­cipare a un funerale, non a un pranzo di nozze.
E il simbolo di quei cristiani che non arrivano a credere che il Regno è un banchetto nuziale. E si vestono, e adottano una faccia come per una sepoltura.
E l'immagine del « credente, ma rivestito di severità, austerità, tristezza, silenzio, mentre invece bisognerebbe indossare l'abito del­la gioia e della speranza. Un uomo che si fa l'idea che occorra por­tare la tristezza del mondo, invece di recare al mondo il sorriso di Dio».
Proviamo a domandarci: il clima delle nostre assemblee litur­giche rivela che siamo seduti intorno alla mensa per festeggiare le nozze del Figlio, oppure che compiamo una mesta, pesante, noiosa cerimonia?

Il nostro volto esprime la gioia dei risuscitati, degli invitati a celebrare la vittoria dei Cristo sulla morte, oppure tradisce la cu­pezza, la sofferenza, la sfiducia, o, peggio, la noia?
Oh, lo so. Qualcuno tirerà in ballo la fame nel mondo, la vio­lenza, la minaccia nucleare, i regimi oppressivi.

Ma questo qualcuno non comprende che la gioia non è evasione. La gioia è una forza. E una sfida. E qualcosa che afferra il cristiano quando celebra l'Eucarestia e lo costringe ad andare a re­carla in un mondo senza pace e senza gioia.
La gioia il cristiano non la tiene per sé. Né la rinchiude all'in­terno della chiesa.
In questa prospettiva, indossare l'abito di nozze significa met­tersi addosso il vestito da lavoro...

A. Pronzato

1 Responses to Tutto è pronto! (ma è' una festa non un funerale...)

  1. tangalor Says:

    Davvero sempre molto belli questi scritti di Pronzato. :) Mi piace il suo tono di parlare della Parola di Dio che rivela un duplice volto ovvero l'Incanto della Parola di Dio,annuncio di novità e la grinta e l'incazzatura contro una realtà che si rivela sempre molto distante dalla festa della novità. E questo che trasmette dai suoi scritti - o che almeno io recepisco - è una cosa che mi piace un sacco. Sono convinto che a sentirlo parlare ti darebbe carica e forza, col sorriso, la stessa che probabilmente Dio gli trasmette quando si immerge nelle scritture.

    Spero un giorno di potergli stringere la mano! :)

 













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