Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed una voce dal cielo disse: « Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto ». Matteo 3, 13-17
di Alessandro Pronzato
Il ciclo natalizio ha un carattere prevalentemente « epifanico »; nel senso di una manifestazione della gloria del Signore nell'umanità di Gesù di Nazareth.
Questa gloria, però, appare in un contesto di piccolezza, modestia, debolezza. Siamo chiamati a contemplarla in un bambino inerme, che nasce nella più squallida povertà, subito perseguitato, esule, che conduce poi una vita eguale a quella di tanti altri.
E una gloria che riveste i panni più ordinari.
Anche e soprattutto la festa del Battesimo di Gesù possiede una rilevanza epifanica. I fenomeni straordinari che accompagnano l'immersione nel Giordano sottolineano questo aspetto: i cieli aperti, la voce, la discesa dello Spirito Santo.
E l'investitura dall'alto del Messia. Sono le credenziali che il Padre dà al proprio Figlio.
Tuttavia anche qui la gloria viene, per così dire, velata. Perché Gesù si presenta al Giordano a farsi battezzare da Giovanni insieme a molti altri « penitenti ». In fila coi peccatori. Confuso nella massa di coloro che riconoscono di aver bisogno di conversione. Uno qualsiasi.
Tanto da provocare la reazione di Giovanni. Il quale gli fa notare che quello non è il suo posto:
- Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?
Ma l'interessato ha compiuto una scelta precisa:
- Lascia fare per ora...
E Giovanni è costretto a trattarlo come tutti gli altri.
Così, mentre dall'alto Gesù viene indicato come l'Inviato, il Figlio di Dio, dal basso Gesù stesso si colloca dalla parte dei peccatori, si confonde con loro, sembra faccia di tutto per nascondersi.
Venuto sulla terra non per annunciare l'incombente giudizio di Dio, ma per recare la lieta notizia della salvezza, si mescola con coloro che devono essere salvati.
Disceso per inaugurare non il tempo del castigo; ma la stagione della misericordia, si presenta insieme a coloro che riconoscono di aver bisogno della misericordia divina.
Atteso e presentato da Giovanni in tono minaccioso come il « giustiziere », corregge questa immagine con quella della mansuetudine.
Segnalato attraverso prodigi eccezionali, Lui preferisce esibire i segni della comune solidarietà.
«In questo gesto del Cristo che si confonde con la folla dei peccatori è già racchiusa quella logica che lo porterà sulla croce a morire per i peccati del popolo » (B. Maggioni).
Indubbiamente, nel dialogo tra Gesù e Giovanni si scontrano due concezioni messianiche opposte. Ed è Giovanni che deve piegarsi al piano di Dio: « Conviene che così adempiamo ogni giustizia ».
Ora, il progetto di Dio è un progetto di umiltà e di misericordia.
Per cui, « adempiere ogni giustizia » vuoi dire sottomettersi alla volontà di Dio, che non è una volontà sterminatrice, ma di salvezza.
Mi pare che la pagina di Vangelo odierna ci inviti a « riconoscere » Colui che è stato mandato dal Padre, a scoprire il senso della sua missione. O, se vogliamo, a rispondere alla domanda fondamentale: « Chi è Gesù? »
Questo riconoscimento essenziale, però, è possibile soltanto se ci poniamo nella prospettiva giusta.
E trovando il nostro posto, in mezzo ai peccatori, nella fila di coloro che si incamminano lungo un itinerario penitenziale, nel gruppo di chi sente l'esigenza di conversione, che è possibile stabilire un contatto con Cristo.
Vorrei dire che è importante scoprire che non siamo a posto, non siamo ciò che dovremmo essere.
Può essere facile additare le cose che non vanno nel mondo. Denunciare il male che sta fuori.
Si tratta, invece, di accertare le cose che non funzionano in noi, per colpa nostra. Rintracciare il male annidato, non nella casa del vicino, bensì nelle pieghe del nostro essere.
Troppo comodo distribuire colpe all'esterno.
E urgente, invece, riconoscerci colpevoli personalmente, attribuirci una fetta di responsabilità di fronte a certi guasti.
Non serve a nulla essere insoddisfatti degli altri.
Risulta decisivo essere insoddisfatti di sé.
Possiamo avere numerose e valide ragioni per lamentarci degli altri.
Ma il vero problema è chiarire i motivi che abbiamo per lagnarci di noi stessi.
Un giorno Cristo ammonirà severamente: « Guai a voi che ora siete sazi » (Lc 6, 25). Ossia, guai ai soddisfatti.
Guai a chi si compiace di ciò che è, di ciò che ha fatto, di ciò che ha ottenuto, delle benemerenze che ha collezionato.
Beati, invece, gli scontenti. Scontenti, non di quello che hanno (o non hanno), ma di ciò che sono (o non sono).
Beati coloro che non hanno da ridire sul conto degli altri. Hanno parecchio da ridire, piuttosto, sul proprio conto.
Beati quelli che sanno mettersi in discussione.
Beati coloro che ammettono di aver sbagliato, di aver provocato e di provocare guai nel mondo, nella Chiesa, nella società, oltre che nella propria esistenza personale.
Soltanto questa ammissione, infatti, ha il potere di dare uno scossone ai vari meccanismi che hanno la pessima abitudine di incepparsi.
Il Giordano, al tempo di Giovanni, era popolato di « insoddisfatti » che andavano non a controllare il bagno purificatore degli altri, ma a immergersi in quell'acqua perché convinti di aver accumulato un bel po' di sudiciume sulla propria pelle (e non soltanto sulla pelle).
E Gesù si è mescolato tra questi insoddisfatti.
E continua a farsi trovare da loro.
Lui non sta dalla parte di chi dice: « Guarda che schifo ».
Ascolta, invece, la voce di chi confessa: « Non ne posso più di me stesso. Non mi sopporto più così ».
P. Claudel garantiva: «Il Signore ha preso l'abbonamento con le tue infermità per guarirle ».
C'è un'unica malattia che Lui non può guarire: la sicurezza. Un unico « caso disperato » di cui non può occuparsi: la soddisfazione di sé.
Un'unica categoria di persone che non riesce a smuovere: quelle che si ritengono a posto.
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