Spirito che aleggi sulle acque

domenica 31 maggio 2009 alle 18:50



Spirito che aleggi sulle acque,
calma in noi le dissonanze,
i flutti inquieti, il rumore delle parole,
i turbini di vanità,
e fa  sorgere nel silenzio
la Parola che ci ricrea.
Spirito che in un sospiro sussurri
al nostro spirito il nome del Padre,
vieni a radunare tutti i nostri desideri,
falli crescere in fascio di luce,
che sia risposta alla tua luce,
la Parola del giorno nuovo.
Spirito di Dio, linfa d’amore
dell’albero immenso su cui ci innesti,
che tutti i nostri fratelli
ci appaiano come un dono
nel grande Corpo in cui matura
la Parola di comunione.

(Fr. Pierre-Yves di Taizé)

Reciprocità e integrazione

domenica 24 maggio 2009 alle 10:45





Oggi la Chiesa celebra il mistero dell'Ascensione in cielo del Signore. E in questo sguardo rivolto verso l'alto, in cui umano e divino si uniscono per sempre, siamo chiamati a guardare con occhi nuovi verso la terra, per imparare a vivere già adesso in questo mistero di comunione, di reciprocità umana e divina, maschile e femminile. E.. non so perchè, mi tornano alla mente queste parole di un noto monaco tedesco....




Secondo Jung, per maturare dobbiamo integrare in noi anima e animus. L'essere umano - afferma Jung - ha in sè un'anima e un animus, che sono le forze femminili e maschili del nostro intimo.
L'animus è eneregia, intelligenza, volontà, ideali, creatività, ma in senso negativo è anche ottusità e tirannia. L'anima è maternità, tenerezza, sentimento, capacità di relazione, crescita, protezione e cura. In senso negativo l'anima denota ciò che tende a possedere, a far proprio, è caratterizzata dalle figure dell'amazzone o dell'intrigante.

Normalmente, nella prima metà della vita, il maschio proietta la sua anima sulla donna, e la donna proietta il suo animus su maschio. In seguito però, nella seconda metà della vita, arriva il momento di ritirare queste proiezioni e di integrare in se stessi anima e animus. Soltanto così l'uomo si trasforma in un uomo completo e la donna in una donna completa.

Se l'uomo non integra la sua anima, questa si manifesta nella volubilità o anche nella dipendenza dall'alcool. Se una donna non integra il suo animus, questo si esprime nella prepotenza: questa donna deve sempre avere l'ultima parola.

Se l'uomo ha integrato la sua anima, non ha più bisogno di svalutare la donna. La stima e prende ispirazione da lei. D'altro canto la donna che ha sviluppato il suo animus non combatterà più l'uomo, ma si lascerà fecondare da lui.

Anche nel cammino spirituale abbiamo bisogno di integrare anima e animus.

Se la religione ha una unilaterale impronta femminile, i maschi se ne allontanano. Gli uomini hanno bisogno anche degli aspetti maschili della religione, come l'ascesi, l'estasi, la chiarezza, il silenzio. Spesso le donne trovano troppo maschile il linguaggio della liturgia. Desiderano incontrare anche immagini femminili di Dio.

Se le donne continuano a imbattersi in immagini maschili di Dio ed esaltano la loro sensibilità, se gli uomini ribadiscono il loro potere nella Chiesa e svalutano le donne, non abbiamo un segno di maturità, ma un'immatura lotta tra i sessi che è da ricondurre alla mancata integrazione di anima e animus. Nel monachesimo delle origini c'erano monaci e monache che si stimavano reciprocamente. Gli uni e le altre erano affascinati dal cammino spirituale e in questo cammino combattevano per raggiungere la sapienza e la trasparenza per Dio.

Anselm Grün




Luce tra le foglie

domenica 10 maggio 2009 alle 14:46





In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla (Gv 15, 1-5ss).
.
.
.
La luce tra le foglie e sotto le foglie -

non dimenticare queste cose,

la bocca che si gira e tocca, l'occhio che ama,

queste sono le nostre estasi


o almeno qualcuna. Cominciarono tempo fa

e nei nostri anni d'infanzia,

altre vennero dopo quando c'era un soffrire nel conoscere

ma ci sono sempre quei


tesori di gentilezza, conforto nel dolore,

opportunità imparate,

ma ora le foglie dell'estate sono piene di vita

e ci insegnano misteri.


Niente è usuale, niente è banale,

niente che piaccia facile,

c'è un cielo di comete in un volto amato,

un migliaio di astronomie.



Le foglie volteggiano sotto un vento leggero,

la sera comincia a diventare fresca

e l'amore si muove gentile in uno stato d'animo condiviso

e conforta e ci fa interi.



Elizabeth Jennings, Light Between Leaves


Lentamente muore

martedì 5 maggio 2009 alle 18:31


Lentamente muore

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.

(Martha Medeiros)

Con un Pastore così non mi vergogno di appartenere al gregge

domenica 3 maggio 2009 alle 10:41



... «IO sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me ... ; e offro la vita per le pecore.  E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore ... » Giovanni 10, 11-18 

Così, dobbiamo fare i conti col «buon pastore». Non è agevole.

Direi, quasi, fuori moda.  Anche perché, oggi, è più facile immaginare i tratti del mercenario che quelli del buon pastore. Per l'immagine di quest'ultimo, dobbiamo ricorrere ai santini, un po' sbiaditi.  Invece, l'identikit del mercenario e le sue imprese ci vengono fornite, con abbondanza di particolari, ogni giorno.  Ed è una documentazione sempre aperta a tutti gli aggiornamenti e alle sorprese più sgradevoli.

 Eppure dobbiamo fissare i lineamenti del buon pastore.  Che non sono quelli, dolciastri, dei santini.

Davide, parlando della propria esperienza di gioventù, ci offre un ritratto di pastore in cui predominano i lineamenti duri, aspri, i toni forti.  Ecco la descrizione che fa a Saul del mestiere: « Il tuo servo custodiva il gregge di suo padre e veniva talvolta un leone o un orso a portar via una pecora del gregge.  Allora lo inseguivo, lo abbattevo e strappavo la preda dalla sua bocca.  Se si rivoltava contro di me, l'afferravo per le mascelle, l'abbattevo e lo uccidevo.  Il tuo servo ha abbattuto il leone e l'orso... » (1 Sam 17, 34-36).

Io stesso, nel Sahara, ho avvicinato ragazzini di tredici-quattordici anni che tenevano a bada mandrie inquiete di cammelli o greggi imponenti di pecore e capre.  Rotti a tutte le astuzie del mestiere, capaci di cavarsela nelle circostanze più difficili, con una prontezza di spirito eccezionale di fronte all'imprevisto, in grado di orientarsi con tranquilla sicurezza in quelle solitudini sconfinate.  Sapevano un mucchio di cose.  Conoscevano tutti i segreti di quella natura impervia.  Spirito di adattamento.  Coraggio.  Un'esperienza in stridente contrasto con l'età.

Ricordo perfettamente quando, a uno di questi sbarbatelli, in saccato in un'incredibile, pesante palandrana bianca, il volto bruciato dal sole, scarponi che affondavano nella sabbia rossa, ho offerto caramelle e cioccolato.  Ha fatto una smorfia quasi di disgusto.  Forse si sentiva offeso.  Mi ha domandato, con serietà:

Tabac? 

 La parabola evangelica ci presenta un gregge che non è mai al sicuro.  Continuamente minacciato.  Ed è di fronte al pericolo incombente che si precisa la linea di discriminazione tra il vero pastore e il mercenario.

 il pastore affronta il rischio, per la difesa del gregge.

 Il mercenario non ha altra preoccupazione che la fuga, per mettere in salvo la propria vita.

 Il pastore concepisce il proprio compito in chiave di responsabilità, di sollecitudine, di attenzione.

L'altro è indifferente. « Non gli importa delle pecore ».

Da una parte, abbiamo una concezione della vita intesa come servizio.

 Sul versante opposto, siamo di fronte a una mentalità in cui al primo posto sta l'interesse personale, il profitto, il successo, la propria incolumità.

Il buon pastore è « per » le pecore.

Nell'ottica del mercenario, le pecore sono « per » il suo portafoglio, i suoi affari, le sue comodità.

 NE sia consentita una malignità.  Penso che, se oggi il Cristo dovesse riproporre la parabola in chiave di attualità, insisterebbe non tanto sul « lupo » che viene da fuori, ma sul pericolo rappresentato dal mercenario, ossia dal cattivo pastore.

 Non c'è dubbio, infatti, che la più grave minaccia per le pecore consista nell’essere strumentalizzate, dominate, sfruttate.  Essere l'occasione di un « servizio » che si traduce in posizioni di prestigio, carriere, onori, soldi.

Il lupo più pericoloso è il « pastore » calcolatore. Ossia colui che vede gli altri in funzione del proprio piedistallo, dei propri conti, del proprio nome, della propria faccia, del proprio vantaggio.

Il pastore è tutt'altro che disinteressato. Anzi, è molto, direi inguaribilmente interessato. Soltanto che il suo interesse non è rivolto alla propria persona ma alla vita delle pecore, alla loro salvezza.

«Il buon pastore offre la vita per le pecore». E il Cristo tiene a precisare che questo avviene, non per un incidente banale, per un infortunio sul lavoro, ma per un atto di amore e in una dimensione di suprema libertà. «Io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.  Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso...»  

Per capire queste immagini, però, è necessario riferirsi a un quadro negativo.  Ci viene presentato da Ezechíele: «Come è vero che io vivo - parla il Signore Dio - poiché il mio gregge è diventato una preda e le mie pecore il pasto d'ogni bestia selvatica per colpa del pastore e poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge - hanno pasciuto se stessi senza aver cura del mio gregge - udite, quindi, pastori, la parola del Signore: Dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto.  Perché dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura... Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare.  Oracolo del Signore Dio.  Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata...» (Ez 34, 8-16).

Con Cristo si realizza questa promessa.  Arriva la risposta di Dio all'attesa di un pastore diverso dagli altri.

Ma il buon pastore, quando si presenta, non è certamente nella linea delle immagini e dei desideri degli scribi.

 E’ uno come tutti.  Povero, semplice, spoglio, privo di segni esteriori di grandezza, allergico agli onori.  L'opposto del dominatore e dello sfruttatore.  Si preoccupa di scendere, più che di salire.

 Conosce i pericoli che minacciano il gregge dei suoi.  E lotta contro tutte le forze del male.

E’ un nomade instancabile, che va alla ricerca della pecora smarrita, si spinge lontano e non si stanca di chiamare i dispersi, gli sbandati, gli emarginati, i rifiutati.  Accorre dove c'è un uomo che non ce la fa più, che è schiacciato sotto il peso della solitudine, della sofferenza, della stanchezza, del disprezzo da parte dei benpensanti.

Può dire con tranquillità: Ecco, il pastore che aspettavate sono io.

E rivendica un titolo fondamentale.  Lui è uno che sa, che conosce. « Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre ».

Si tratta di quella conoscenza che non ha niente da fare con la semplice intelligenza e la psicologia, ma è questione di amore.

Allora, con un pastore di questo genere, mi sta bene anche l'immagine del gregge.  Non mi vergogno di appartenere al gregge.

 infatti appartenere alla Chiesa, al gregge di Cristo, non significa essere intruppati e camminare a testa bassa e rinunciare al proprio cervello e ai propri occhi.

No. Quel pastore è a servizio della mia libertà e della mia dignità.  Non pensa al posto mio, e neppure decide per me.  Dio mi tratta da adulto responsabile.  E vuole che i pastori, suoi rappresentanti, facciano altrettanto.

Io, dunque, sono « interessante » per Lui.

Ho un valore unico ai suoi occhi.

Dio mi prende sul serio.

Ho a che fare con un pastore che è attento a ciascuna delle sue pecore.

E quando mi sento chiamare, non penso per prima cosa a un rimprovero o a un castigo.

Penso, piuttosto, con sorpresa, che Dio mi conosce per nome.

A. Pronzato

I bambini imparano ciò che vivono

sabato 2 maggio 2009 alle 15:02



Se il bambino viene criticato
impara a condannare

se vive nell'ostilità
impara ad aggredire

se vive deriso,
impara la timidezza

se vive vergognandosi,
impara a sentirsi colpevole

se viene trattato con tolleranza,
impara ad essere paziente

se vive nell'incoraggiamento,
impara la fiducia

se vive nell'approvazione,
impara ad apprezzare

se vive nella lealtà.
impara la giustizia

se vive con sicurezza,
impara ad avere fede

se vive volendosi bene,
impara a trovare amore ed amicizia nel mondo.


 













Il deserto fiorirà! | Powered by Blogger | Posts (RSS) | Comments (RSS) | Designed by Tangalor | XML Coded By Cahayabiru.com