Attendere Qualcuno

martedì 27 maggio 2008 alle 18:44






La vita di ognuno è un'attesa.

Il presente non basta a nessuno.

In un primo momento, pare che ci manchi qualcosa.

Più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno.

E lo attendiamo.




don Primo Mazzolari


Il rapace in azione

sabato 17 maggio 2008 alle 21:24

Mi pare che una delle prove classiche dell'esistenza di Dio, elaborate da Tommaso d'Aquino, sia quella cosiddetta del moto.

Per caso, non sarà che i cristiani sono essi pure chiamati a « pro­vare » la propria esistenza attraverso il movimento?

Il mistero della Trinità, che siamo invitati a contemplare in questa domenica, ci aiuta a puntare lo sguardo sul Protagonista della vita della Chiesa. Su Colui che, oserei dire, ha il compito specifico di imprimere alla comunità dei credenti quel dinamismo, quella forza, quell'audacia che costringono il popolo di Dio ad ab­bandonare i recinti difensivi, e a spalancare le porte dei vari ce­nacoli.

Lo Spirito Santo è lo specialista del movimento. E « soffio im­petuoso » che spinge sulle strade del mondo, che strappa dagli accampamenti della paura e dai bivacchi della prudenza per scara­ventare lungo le traiettorie impensate della follia evangelica.

Attraverso lo Spirito, Dio è in azione nel mondo.

Quando la Chiesa si affida a quel « vento impetuoso », accetta di lasciarsi letteralmente travolgere da un'azione imprevedibile (« il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va... » Gv 3, 8), irresistibile, che abbatte gli ostacoli, spaz­za via le paure, scuote i pregiudizi, scrolla le sicurezze, fa piegare le resistenze più accanite.

Il vento è inafferrabile. Non lo puoi ingabbiare, amministrare, controllare, sistemare. Lo puoi soltanto assecondare. Devi lasciarti travolgere.

Grazie allo Spirito, la Chiesa cessa di essere una forma imbal­samatrice per ridiventare una forza creatrice e trasformatrice.

Non si limita più ad adeguarsi agli avvenimenti, a prendere atto di ciò che è successo al di fuori di essa, senza di essa, o addi­rittura contro di essa. Crea gli avvenimenti.

Non subisce l'iniziativa altrui. Assume coraggiosamente l'ini­ziativa.

Non si accontenta di agganciarsi al carro della storia al momen­to giusto. Si presenta come forza trascinatrice.

Gli apostoli, il giorno della Pentecoste, non si sono accontentati di non lasciarsi travolgere dagli avvenimenti. Hanno scoperto il ruolo di protagonisti, non appena hanno fatto esperienza del « sof­fio ». Sono stati loro stessi, quel giorno, a « fare notizia ».

Lo Spirito fa capire che c'è un unico modo per non lasciarsi « superare » dagli avvenimenti, per non essere « tagliati fuori »dalla storia. Ed è quello di creare gli avvenimenti, fare la storia.

Una Chiesa che si rinnova, che si muove, meglio, che riprende a muoversi - la Chiesa è pietra, roccia: ma è roccia che cammina! -è una comunità che ha ritrovato la fedeltà allo Spirito, alla vita.

Perché la vita non è possibile senza cambiamento, trasformazione, rinnovamento.

La fedeltà fondamentale è fedeltà al movimento. Senza novità (le novità dello Spirito), le cose non rimangono « come sono », inutile farsi illusioni. Si deteriorano. Degenerano. Senza mutamenti, la vita « non si conserva ». Muore. Molti dimenticano che il nostro potere di conservazione è rigo­rosamente proporzionale alla capacità di rinnovamento.

Una Chiesa fedele al movimento dello Spirito, riesce ad armo­nizzare tradizione e novità, memoria e fantasia.

Ma lo Spirito non riguarda soltanto la vita della Chiesa nel suo complesso.

Deve, vuol avere accesso anche nell'esistenza dei singoli cre­denti.

E sarà bene valutare esattamente i « rischi » di quell'azione.

Ho letto, su un foglio cattolico, un'espressione singolare: « gli svolazzi dello Spirito Santo ».

A me non è mai capitata la fortuna di ammirare gli svolazzi in questione.

Lo Spirito, già duemila anni fa, aveva l'abitudine di presentarsi all'improvviso, annunciato da un rombo, « come vento che si ab­batte gagliardo » (At 2, 2).

No. Non compie svolazzi, non fa giravolte decorative, come una pattuglia acrobatica, sul mio orizzonte spirituale. Non svolge eser­cizi di bella calligrafia sul tuo diario di viaggio

Lo Spirito è turbine, fuoco, non ghirigoro. La sua azione è tut­t'altro che innocua. Scompiglia, lacera, graffia, prende d'infilata i tuoi diligenti foglietti, li disperde lontano. Sui tuoi taccuini lascia degli sbreghi, non dei punti esclamativi.

Allorché soffia il vento - e io l'ho provato nel Sahara -' ti si aggriccia la pelle, ti vien voglia di urlare, non di sospirare.

Siamo nel campo dello sconquasso più brutale, non dell'este­tica. E alle viste un'azione di scasso.

Lo Spirito, quando fa irruzione nella nostra vita, non rispetta niente, trasforma ogni cosa manda all'aria l'ordine stabilito, scon­volge gli schemi che ci sono cari.

Il guaio è che noi, sovente, passiamo il nostro tempo a tampo­nare tutte le fessure attraverso le quali questo vento gagliardo potrebbe passare.

No. Non riesco proprio a immaginare lo Spirito Santo che com­pie svolazzi sulla mia testa.

Lo vedo, e lo temo - devo confessare - in atteggiamento rapace.

L'aquila, quando ha avvistato la preda, non distende le ali. Al contrario, si appallottola, vien giù come un sasso, le zampe strette sotto la coda per fare l'aerodinamica.

Sentiamo la descrizione di un esperto: « L'aquila prima fa la picchiata, poi conclude l'attacco a volo radente; ma tutto avviene come se non passasse nessun tempo, il tempo fosse abolito. L'aquila non cala sulla preda, cala a una certa distanza da essa; la sua calata avviene in un lampo, l'aquila ripiega le ali e precipita, precipitando fa un sibilo come di una pallottola; se la preda ha il tempo di scor­gerla, non ha quello di ricevere nel cervello quello che i suoi occhi hanno visto, e domandarsi che cos'è. Poi come un lampo radendo la terra giunge addosso, afferra... » (V. G. Rossi).

E quando si impenna tiene artigliata saldamente la vittima.

Oppure, ripenso all'immagine classica di san Girolamo: « Ascoltare la Parola significa tendere le vele al vento dello Spirito senza sapere a quali lidi approderemo ».

Una cosa sola so. Che quel vento non si limita a carezzare le vele. L'impatto è terribile. E se non mi aggrappo al parapetto, fi­nisco in mare...

Quando è in azione lo Spirito-vento impetuoso, non hai nep­pure il tempo di domandarti che cos'è.

Ti rendi conto, semplicemente, che è accaduto qualcosa, per il fatto che vieni strappato via...



di A. Pronzato




Marta

mercoledì 7 maggio 2008 alle 22:50

Lc 10,38-42

38 Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. 39 Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; 40 Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: "Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". 41 Ma Gesù le rispose: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, 42 ma una sola è la cosa di cui c' è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta".


La visita di un profeta porta sempre con sé una benedizione. A questo deve aver pensato mio fratello Lazzaro la prima volta che ti ha aperto la porta di casa nostra. E dopo, tante altre volte hai varcato la soglia con un passo non più esitante se non per il passaggio brusco dalla luce violenta alla penombra. Scherzavi, dicevi che neppure Abramo era stato tanto sollecito verso i suoi ospiti, ma intanto cominciavi a sentirti di casa. Anche i tuoi discepoli lo sanno che Betania è una tappa obbligata quando siete in giro da queste parti; è per questo che si fanno da parte con discrezione per lasciarti in pace con il tuo amico.


Ma col tempo è diventato sempre più difficile difendere questa intimità: sei diventato famoso, tutti vogliono vederti toccarti parlarti e dicono che appartieni a loro non meno che ad altri. E hanno ragione, perché il Maestro è di tutti. Ma l'uomo no. Anche se non sembra, Lazzaro è un tipo deciso e ha incaricato un servo di stare sulla porta e di non fare entrare nessuno, cosa di cui penso tu gli sia grato. Solo i bambini riescono a sgusciare tra le maglie del servizio d'ordine, ma c'è un tacito consenso. Passano veloce­mente, si fanno benedire e poi corrono da me in cucina, perché dopo averti strappato la benedizione come Giacobbe, vengono a razzolare un po' di cibo come Esaù.


Neppure a me serve il lasciapassare, quando entro con la brocca in mano sono dispensata dal dare spiegazioni. Raramente restate davvero soli, c'è Maria seduta in un angolo che non perde una parola, fissandoti come se fossi un angelo. Credo che nes­suno ti conosca come lei. Ti guarda le mani e potrebbe dire quanti malati hai guarito questa settimana. Osserva una cica­trice e indovina come te la sei procurata. Che male c'è se la vedo lì seduta accanto a te? Beh, c'è che lei è nel posto sbagliato.


Non è una bella cosa nascere donna, ma se almeno tutte stessimo al nostro posto non farebbe poi tanto male. Ora è facile dire che in me parla la gelosia. Vogliamo chiamare gelosia il semplice desiderio di vedere apprezzati i propri sforzi? Chiamiamola pure così. E non mi vergogno a dire che vorrei far finta di inciampare e rovesciarti addosso questa brocca e poi gettarmi ai tuoi piedi confusa e continuare a dire «mi dispiace» mentre ti scuoterei l'ac­qua dai vestiti e passerei le mani sulle tue spalle. Siamo in tanti a volerti bene, ma non tutti sappiamo farlo come tu vorresti. Forse non sono capace di stare lì seduta ad ascoltare, forse sono solo una bambina che vuole attirare la tua attenzione, ma quando gli uomini entrano nel tempio non chiedono la stessa cosa all'Altis­simo? Non credo di avere meno fiducia in te di quanta ne abbia alcun altro. So che puoi fare cose grandissime, ma vorrei che ne facessi anche di più piccole. Penso a questo mentre sono rimasta qui sola.


Tu sei andato via, Lazzaro è andato via e anche mia sorella è uscita. Chi resta qui? Io. Ma la tua presenza si avverte ancora nell'aria, è qualcosa di denso come l'odore del gelsomino che prende alla gola e fa quasi soffocare. Potrei persino pian­gere, intanto che nessuno mi vede. Chissà se un giorno ti vedrò piangere... 0 le lacrime di un profeta sono riservate alle sorti di Gerusalemme? Piangeresti per Marta? Permetteresti alle lacrime di rigare il tuo bel volto? Lasceresti tutto quel che stai facendo per correre qui, a vedere se Marta è stata ancora la più forte, più forte anche della malattia e della morte? Certo che lo faresti, prendendo la mia mano nella tua, subito la febbre mi lascerebbe e tornerei a servirti. Questo solo sa fare Marta, ma ha fiducia in te e crede che tutto ti sia possibile. Verrà un giorno in cui questa casa resterà vuota e di Lazzaro, Maria e Marta si parlerà al pas­sato. Quel giorno, lascerò che sia tu a servirmi.


Da: G.L. Carrega, Un tempo per ogni cosa, Torino 2007.


Antonella

venerdì 2 maggio 2008 alle 22:56

Sono Antonella e provengo da una famiglia di origine reggiana. Sono stata battezzata da piccola e ho frequentato il catechismo in chiesa cattolica. Poi non ho più frequentato la chiesa se non per futili richieste, ad esempio superare brillantemente un compito in classe. Trascorsi la mia adolescenza divertendomi con le amiche, viaggiando per il mondo, frequentando le discoteche e legandomi sentimentalmente. Ho sempre avuto tutto e non mi è mai mancato nulla. Satana era molto bravo a tenermi legata a lui. Mi sembrava di essere libera da tutto invece... ero schiava di ogni cosa perché tutto aveva un prezzo. La vanità, i viaggi, il ragazzo sembrava tutto così bello.

Un giorno, durante un intervento chirurgico (io sono infermiera professionista), una manovra tecnica fece in modo che il sangue della paziente mi schizzò in viso e negli occhi. Mi era già successo altre volte e, nonostante la seccatura, speravo che tutto sarebbe andato bene. Per il tipo di lavoro che svolgo spesso avevo assistito persone morire, di varie età, e mi chiedevo cosa ci fosse dopo la morte. Presto però tornavo alla mia vita, che continuava a correre felicemente. Nel giro di pochi giorni dall'incidente venni a sapere che quella paziente aveva una malattia incurabile, e quindi era infettiva. L'idea di passare da infermiera che assiste a paziente non mi andava proprio. Vidi così infrangersi tutto i mio futuro, la mia vita piena dei progetti di una ragazza normale, il matrimonio, i figli, il lavoro, le vacanze…


Prendeva sempre più piede l'idea di essere allontanata dalla società, dal lavoro, dal mio ragazzo. Nessuno riusciva a comprendere il mio stato, la mia angoscia e nessuno poteva aiutarmi. Anche quando ne parlavo con le amiche del cuore mi davano una pacca sulla spalla e mi dicevano: "Non ti preoccupare!". I miei timori e il mio vuoto rimanevano. In casa dovevo fingere di essere serena, ma non era sempre così semplice. Avevo paura di infettare coloro che mi erano vicini e a cui volevo bene. Provavo un senso di emarginazione.


Per legge dovetti sottopormi a una serie di controlli ematici. Cosa mi aspettava? Andare nel reparto infettivi in fila assieme a persone ammalate e contagiose, era quello il mio futuro? Lì svanivano veramente tutti i miei bei progetti di vita.


Finalmente un giorno mi rivolsi a mia sorella, che mi aveva già parlato della sua nuova fede e della sua pace nel cuore.


Le chiesi di pregare per me, per questo mio problema di salute. Sapevo che lei aveva un Amico potente. Lei ne fu molto contenta e iniziò anche a parlarmi di Gesù, al punto che le chiesi di poter leggere qualcosa sull'argomento. Devo dire che, conoscendomi, dovevo essere proprio alla ricerca di una soluzione per arrivare a tanto. Mi consigliò di leggere il Vangelo di Giovanni.

Io che bestemmiavo il nome di Dio, che non mi sottraevo a menzogne e parolacce! Eccomi ora a leggere il Vangelo!
Inizialmente mi chiedevo perché proprio a me una simile punizione, io che non mi drogavo, non avevo fatto nulla di male! Solo leggendo il Vangelo iniziai a capire quanto la mia vita fosse distante dal Signore. Ero schiava della vanità e dell'orgoglio. Iniziavo a comprendere dal messaggio che leggevo, che non occorreva essere un omicida per meritarsi la punizione divina. Io ero già condannata.
Ai miei interrogativi sul dopo la morte trovai la soluzione al versetto 16 del capitolo 3 del vangelo di Giovanni:

"Perché Dio ha tanto amato il mondo,
che ha dato il suo unigenito Figlio,
affinché chiunque crede in lui non perisca,
ma abbia vita eterna."

Iniziai a cercare il Signore, fino a quando, nell'agosto del 1995, presi la mia decisione: donare il mio cuore al Signore e convertirmi a Lui. Da otto anni a questa parte ho avuto molte benedizioni nella mia vita. Non ho rimpianti di aver lasciato quel mondo che mi teneva schiava di tante ipocrisie e mode. Ora sono libera in Cristo. Ho molti più amici di prima, e sono veri amici, sui quali posso davvero contare. Ho conosciuto il vero amore perché Cristo è morto per me sulla croce. Ringrazio il Signore per quell'incidente che mi ha portato a conoscere Gesù. Non c'era altro modo per me di arrivare a Lui.

Probabilmente molte volte non ho udito la sua voce che mi chiamava a ravvedermi perché Satana continuava a darmi ciò che mi dava successo.

Oggi sono felicemente sposata, e sana di salute, e i miei nuovi progetti hanno basi solide, perché poggiano non su di me e sui miei sforzi, ma sul Signore stesso e sulle sue promesse.

Antonella


Fonte: Vangelo.org

 













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