Auguri!

martedì 27 febbraio 2007 alle 23:26
Questo post lo dedico a Gabriele, a Marco e a Giacomo:

Congratulazioni per la laurea!

E ancora un augurio:




a Marco (sopra a sinistra) il nostro Direttore editoriale,

a Giacomo (sopra a destra, e chi l'avrebbe detto...?), supremo webmaster di vnstudenti,

e a Gabriele (a destra) ingegnere in erba (dei "getti turbolenti"... che non è un offesa, ma parte dell'argomento della sua tesi):


... di far fruttare al max i vostri talenti (buttandovi a 360°, come disse qualcuno... a qualche ultima cena di laurea... e non chiedetemi come si fa...) perchè...

.... Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì...

e l'augurio è di poter sentire un giorno dalla Sua bocca alla fine di questa vita:

Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone (Mt 25,21).

Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi (Mt 25,34-36).

Nel frattempo godiamoci questo momento di festa:










grande porchetta!

senza parole










arrosticini fantastici!


















pioggia di rose... (ma la ragazza quando la trovate???...)












e per chiudere (ma si potrebbe continuare a lungo con la fotogallery)...

il grande Lee Masters, grande incantatore del forum di VN...
che scruta i più reconditi e segreti significati di ogni ambito dell'esistere (cfr. il topic www.labarbafiorirà.com dedicato al sottoscritto...).






Hai veramente un Padre?

sabato 24 febbraio 2007 alle 22:15
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane» . Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo» . Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo» . Gesù gli rispose: «Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai» . Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano; e anche: essi ti sosterranno con le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra» . Gesù gli rispose: «E' stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo» . Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato (Lc 4, 1-13).


La tentazione come tempo di pericolo massimo. Insidia mortale, veleno pronto per essere inoculato nel tuo essere e devastarlo. Eppure anche tentazione come luogo dove lo Spirito conduce, come occasione di grazia, scenario preparato da Dio stesso per il suo azzardo più estremo: il rischio di perderti per sempre puntando tutto sulla tua libertà, e rispettarla fino alle ultime conseguenze. Anche quella di essere rifiutato, non creduto come Amore e Padre. Rischio e possibilità: possibilità che dalla tua libera scelta fiorisca quello che nemmeno Dio può fare. Dio non può costringerti ad amarLo. Non può e non vuole costringerti alla fedeltà, a una fiducia che può essere sono donata nell'amore della consegna reciproca di sè.

Molteplicità di prove ma in fondo una sola, insidiosissima tentazione.
Se sei Figlio di Dio...
Sei proprio sicuro di avere un Padre? Sei proprio sicuro che Dio ti ami?
Chi è tuo Padre? Perchè ti lascia in questo deserto assurdo?
Perchè non sazia la tua fame?
Perchè ti ha ingannato e non ti ha dato che una vita fallimentare?
Perchè ha permesso ti morisse quella persona cara?
Perchè ha permesso ti violentassero?
Perchè ha permesso venissi tradito e abbandonato?
Perchè ha permesso che i tuoi anni scorressero via senza quei frutti che ti spettavano?
Perchè ti ha dato tutti quei limiti e fragilità?
Perchè non ti aiuta come vorresti?
Perchè non ti dà quel successo, quei soldi, quella facilità di vita che io ti offro?

Satana è la non-persona. La negazione di ogni relazione. E il suo obiettivo è trascinare nell'assurdo di una vita in cui la relazione con il Padre è rifiutata, incompresa, rovinata. E così quella con gli altri. Vuole distruggerti in quanto Figlio e fratello.

Nessuno può vincere al mio posto. Ho da affrontare questa sfida da solo. Con la fragilità di questa libertà. Ma oggi Lui ha vinto per me, ha conosciuto la mia debolezza e se voglio ho la sua stessa forza.

E ripeto con l'apostolo Paolo: Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20).

Mi ha insegnato ha credere nell'amore del Padre che da tutta l'eternità mi ha riconosciuto (Ger 1,5) come suo figlio. Amen!


“Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”

giovedì 22 febbraio 2007 alle 21:35
Posto la riflessione del santo Padre per l'inizio di questa quaresima



Cari fratelli e sorelle! “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Giovanni 19,37). È questo il tema biblico che quest’anno guida la nostra riflessione quaresimale.

La Quaresima è tempo propizio per imparare a sostare con Maria e Giovanni, il discepolo prediletto, accanto a Colui che sulla croce consuma per l’intera umanità il sacrificio della sua vita (cfr Giovanni 19,25).

Con più viva partecipazione volgiamo pertanto il nostro sguardo, in questo tempo di penitenza e di preghiera, a Cristo crocifisso che, morendo sul Calvario, ci ha rivelato pienamente l’amore di Dio.

Sul tema dell’amore mi sono soffermato nell’enciclica "Deus caritas est", mettendo in rilievo le sue due forme fondamentali: l’agape e l’eros.


L’amore di Dio: agape ed eros


Il termine agape, molte volte presente nel Nuovo Testamento, indica l’amore oblativo di chi ricerca esclusivamente il bene dell’altro; la parola eros denota invece l’amore di chi desidera possedere ciò che gli manca ed anela all’unione con l’amato.

L’amore di cui Dio ci circonda è senz’altro agape. In effetti, può l’uomo dare a Dio qualcosa di buono che Egli già non possegga? Tutto ciò che l’umana creatura è ed ha è dono divino: è dunque la creatura ad aver bisogno di Dio in tutto.

Ma l’amore di Dio è anche eros. Nell’Antico Testamento il creatore dell’universo mostra verso il popolo che si è scelto una predilezione che trascende ogni umana motivazione. Il profeta Osea esprime questa passione divina con immagini audaci come quella dell’amore di un uomo per una donna adultera (cfr 3,1-3); Ezechiele, per parte sua, parlando del rapporto di Dio con il popolo di Israele, non teme di utilizzare un linguaggio ardente e appassionato (cfr 16,1-22).

Questi testi biblici indicano che l’eros fa parte del cuore stesso di Dio: l’Onnipotente attende il “sì” delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa.

Purtroppo fin dalle sue origini l’umanità, sedotta dalle menzogne del Maligno, si è chiusa all’amore di Dio, nell’illusione di una impossibile autosufficienza (cfr Genesi 3,1-7). Ripiegandosi su se stesso, Adamo si è allontanato da quella fonte della vita che è Dio stesso, ed è diventato il primo di “quelli che per timore della morte erano tenuti in schiavitù per tutta la vita” (Ebrei 2,15).

Dio, però, non si è dato per vinto, anzi il “no” dell’uomo è stato come la spinta decisiva che l’ha indotto a manifestare il suo amore in tutta la sua forza redentrice.


La Croce rivela la pienezza dell’amore di Dio


È nel mistero della Croce che si rivela appieno la potenza incontenibile della misericordia del Padre celeste.

Per riconquistare l’amore della sua creatura, Egli ha accettato di pagare un prezzo altissimo: il sangue del suo Unigenito Figlio.

La morte, che per il primo Adamo era segno estremo di solitudine e di impotenza, si è così trasformata nel supremo atto d’amore e di libertà del nuovo Adamo. Ben si può allora affermare, con san Massimo il Confessore, che Cristo “morì, se così si può dire, divinamente, poiché morì liberamente” ("Ambigua", 91, 1956).

Nella Croce si manifesta l’eros di Dio per noi. Eros è infatti – come si esprime lo Pseudo Dionigi – quella forza “che non permette all’amante di rimanere in se stesso, ma lo spinge a unirsi all’amato” ("De divinis nominibus", IV, 13: PG 3, 712). Quale più “folle eros” (N. Cabasilas, "Vita in Cristo", 648) di quello che ha portato il Figlio di Dio ad unirsi a noi fino al punto di soffrire come proprie le conseguenze dei nostri delitti?


“Colui che hanno trafitto”


Cari fratelli e sorelle, guardiamo a Cristo trafitto in croce! È Lui la rivelazione più sconvolgente dell’amore di Dio, un amore in cui eros e agape, lungi dal contrapporsi, si illuminano a vicenda.

Sulla Croce è Dio stesso che méndica l’amore della sua creatura: Egli ha sete dell’amore di ognuno di noi.

L’apostolo Tommaso riconobbe Gesù come “Signore e Dio” quando mise la mano nella ferita del suo costato. Non sorprende che, tra i santi, molti abbiano trovato nel cuore di Gesù l’espressione più commovente di questo mistero di amore.

Si potrebbe addirittura dire che la rivelazione dell’eros di Dio verso l’uomo è, in realtà, l’espressione suprema della sua agape. In verità, solo l’amore in cui si uniscono il dono gratuito di sé e il desiderio appassionato di reciprocità infonde un’ebbrezza che rende leggeri i sacrifici più pesanti.

Gesù ha detto: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Giovanni 12,32). La risposta che il Signore ardentemente desidera da noi è innanzitutto che noi accogliamo il suo amore e ci lasciamo attrarre da Lui.

Accettare il suo amore, però, non basta. Occorre corrispondere a tale amore ed impegnarsi poi a comunicarlo agli altri: Cristo “mi attira a sé” per unirsi a me, perché impari ad amare i fratelli con il suo stesso amore.


Sangue ed acqua


“Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”. Guardiamo con fiducia al costato trafitto di Gesù, da cui sgorgarono “sangue e acqua” (Giovanni 19,34)!

I Padri della Chiesa hanno considerato questi elementi come simboli dei sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia.

Con l’acqua del Battesimo, grazie all’azione dello Spirito Santo, si dischiude a noi l’intimità dell’amore trinitario. Nel cammino quaresimale, memori del nostro Battesimo, siamo esortati ad uscire da noi stessi per aprirci, in un confidente abbandono, all’abbraccio misericordioso del Padre (cfr S. Giovanni Crisostomo, "Catechesi", 3,14 ss.).

Il sangue, simbolo dell’amore del Buon Pastore, fluisce in noi specialmente nel mistero eucaristico: “L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù, […] veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione” (enciclica "Deus caritas est", 13).

Viviamo allora la Quaresima come un tempo "eucaristico", nel quale, accogliendo l’amore di Gesù, impariamo a diffonderlo attorno a noi con ogni gesto e parola.

Contemplare “Colui che hanno trafitto” ci spingerà in tal modo ad aprire il cuore agli altri riconoscendo le ferite inferte alla dignità dell’essere umano; ci spingerà, in particolare, a combattere ogni forma di disprezzo della vita e di sfruttamento della persona e ad alleviare i drammi della solitudine e dell’abbandono di tante persone.

La Quaresima sia per ogni cristiano una rinnovata esperienza dell’amore di Dio donatoci in Cristo, amore che ogni giorno dobbiamo a nostra volta “ridonare” al prossimo, soprattutto a chi più soffre ed è nel bisogno.

Solo così potremo partecipare pienamente alla gioia della Pasqua. Maria, la Madre del Bell’Amore, ci guidi in questo itinerario quaresimale, cammino di autentica conversione all’amore di Cristo. A voi, cari fratelli e sorelle, auguro un proficuo itinerario quaresimale, mentre con affetto a tutti invio una speciale Benedizione Apostolica.

Benedetto XVI


Verso una vita nuova

mercoledì 21 febbraio 2007 alle 00:31
Quaresima 2007.
Un tempo forte che inizia con un gesto simbolico austero. Della cenere grigia posta sul capo e l'invito al digiuno, alla preghiera, alla carità.
E dalla liturgia della Parola un grido:
Lasciatevi riconciliare con Dio! (2Cor 5,20)

Ma posso credere che la mia vita cambi davvero?
"Figlio dell'uomo, potranno queste ossa rivivere?" (Ez 37,3)

Può questa cenere che sono io, questa mia vita che è un soffio, diventare pienezza di eternità?

Sì! E' questo il senso della quaresima che apre alla Pasqua!

Làsciati affascinare dal Cielo. Dalla purezza dell'Amore. Làsciati lavare, purificare dal Sangue del Cristo.
Lascia che i tuoi occhi guardino in alto, al di là degli sguardi degli uomini. Per incontrare lo sguardo di Dio.
Làsciati ricreare. Lascia che l'Amore abiti in te.

Concretamente.
Con la concretezza di un tempo consacrato alla preghiera per incontrare Lui, e sentirti conosciuto e voler condividere il Segreto della tua intimità con Lui.
Con la concretezza di energie riservate per Lui, che è il vero nutrimento della vita. Lasciando indietro ciò che ti assorbe energie ma ti soddisfa solo per un attimo.
Con la concretezza dell'accorgersi finalmente degli altri. E provare a darsi.

Concretezza che esprime in gesti un sì. Un sì che permette a Dio di spalancare per la tua vita orizzonti nuovi. Di luce e purezza. Colorati di vita e di eternità.
Orizzonti che una volta intravisti è impossibile non desiderare con tutto se stessi.

Vita insieme: "contaminazione" e rispetto del mistero

venerdì 9 febbraio 2007 alle 19:15
"[...] nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Lc 10,22)

Ripensavo un po' in questi giorni a come nell'esperienza delle nostre relazioni umane si giochi la possibilità di toccare davvero qualcosa di divino. Incontrare una persona è incontrare un mistero. E' come rapportarsi al "Mistero" stesso di Dio.
Lui che è in se stesso comunione nella distinzione delle Persone (Padre - Figlio - Spirito Santo).
Lui che si può incontrare solo se decide di aprirti le porte del suo Mistero.
E noi che troppo spesso trattiamo la Sua Parola come un oggetto da aggredire e conquistare, da usare... magari per raccontare qualche "bella parola" (agli altri) o pubblicare qualche studio interessante. Rimanendo fuori dal Mistero, che, assalito o "usato", si ritira da noi...

Come l'incontro vero con una persona si realizza se c'è un reciproco rivelarsi d'intimità, così con Dio. Accostarsi con la nuda verità di noi stessi, attendere... attendere anche tanto tempo...
Ma non perchè l'Amore non si voglia comunicare... ma perchè tu capisca che è dono quello che ti viene concesso. E' dono inestimabile di qualcosa di per sé assolutamente indisponibile.

Aspettare che Lui stesso ti introduca gratuitamente. Comprendere qualcosa di Dio, fare reale esperienza di Lui, gustare nell'intimo una sua parola è come essere introdotti nella sala del trono e contemplare il volto del Re.

Così tra noi. Il volto dell'altro e il mio stesso volto come mistero che si vela e si svela contemporaneamente.
Vivere insieme nella verità è un po' come essere già in Dio Trinità.
Contaminazione e mistero. Due aspetti quasi opposti ma paradossalmente uniti quando si entra in questa dimensione.

E ripenso anche ad alcune suggestioni flash ricevute dall'incontro con una bella persona: il prof. Lucio Vinetti, giovane Direttore della Scuola di Audiofonetica (Brescia) integrata dell'Istituto Canossiano e felice padre di famiglia...

Molti matrimoni si sfasciano o muoiono sul nascere perchè "voglio vivere la mia vita, avere la mia libertà e le mie ambizioni sociali"... non si accetta la reciproca "contaminazione"... (parola usata da Lucio). Che qualcosa dell'altro passi in me e mi trasformi e viceversa. Cosa d'altra parte che può essere amata e voluta solo da persone che abbiano già la loro identità... Lucio diceva stasera come i suoi nonni, che nelle foto da giovani apparivano nel volto totalmente diversi, nel tanto tempo vissuto insieme sembravano anche nei lineamenti assomigliarsi, quasi fossero stati fratello e sorella...

Condividere veramente rimane un atto unilalaterale e gratuito.
Che non pretende altro in cambio.
Non pretende di forzare ed entrare nel mistero dell'altro. Dalla condivisione si arriva alla comunione se entrambi liberamente si svelano.

Eppoi: mettere in comune non vuol dire mettere in mezzo, tra me e te. Mettere in comune significa che è di entrambi.

Ma il mistero rimane comunque e va rispettato. Il mistero dell'altro come segno di un volto in ogni caso diverso e per questo affascinante nel suo libero rivelarsi. Ma cosa rivela in modo particolare?

Il suo Destino, la sua chiamata, il mistero della strada tracciata da Dio.

E allora amare l'altro significa amare il suo Destino, la sua chiamata, il mistero di quella strada tracciata solo per questa persona che ti sta davanti.

Amare è anche lasciare partire, accompagnando nella discrezione dell'intercessione.
Lasciare partire per quella strada affinché si compia la vera comunione che non si ha senza questo modo di amare. Amare, rispettare, attendere... il mistero dell'altro come il Mistero di Dio.




Il tuo parlare sia sì sì no no

martedì 6 febbraio 2007 alle 23:02
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno (Mt 5,33-37).

Ci sono cose che sai ma che ti ricordi solo il giorno in cui ti ci scontri. Il fatto che ci siano persone che fanno della menzogna uno stile di vita è una di quelle cose e oggi è il giorno in cui me lo sono ricordato.
Ma non è un giudizio morale. I motivi per cui si può arrivare a tanto possono essere i più disparati e il più delle volte chi lo fa lo fa per sopravvivere. O per chissà quali altri meccanismi di difesa imparati per chissà quali esperienze...
La paura è un fattore decisivo.
Possiamo però guardare dentro noi stessi e soppesare tutto il disagio che che provoca questa mancanza di trasparenza. Sia quando la subiamo che quando vi acconsentiamo.
La bocca come trasparenza del cuore. Trovare o essere persone così ha del meraviglioso.
Sa di vita.
Già, perchè la parola se non è mediazione di verità e di comunione è parola che genera morte.
Forse non subito, forse non in modo appariscente. Ma genera morte.
E noi non siamo fatti per la morte ma per la vita.

Eppure il raggiungimento dei nostri scopi sembra prevalere su tutto. L'importante è raggiungere l'obbiettivo. E se dire sì quando è sì e no quando è no non mi aiuta... ben venga quel "tantino di più" (che poi venga da un esperto di marketing come il maligno non ci tocca più di tanto, anzi, una consulenza ogni tanto aiuta...).

Ma io dico sempre quello che penso in faccia! Bello... ma io mi chiederei anche se quello che dici è solo verità o anche amore.
Se dici la verità e quella parola non è amore la tua parola non è più verità.
Sì magari è "una" verità, oggettiva anche, ma non è Verità.

Potete dire di conoscere almeno UNA persona che con voi è assolutamente vera, fino in fondo?
E noi possiamo dire di essere almeno con UNA persona assolutamente veri, fino in fondo?

La misura della nostra gioia qui dipende anche da quante persone possiamo mettere in questo "censimento"....


Don Andrea Santoro: riflessione di una cristiana turca

lunedì 5 febbraio 2007 alle 22:30
Riporto dal sito del Pime (Milano) questa bella riflessione di una sorella turca...


«La morte che genera vita»


Riflessioni di una cristiana turca


Da Antiochia


Era domenica 5 febbraio quando, a Trabzon – città turca sul mar Nero - al culmine di una giornata di proteste e di violenze nel mondo islamico per le caricature di Maometto apparse su alcuni giornali occidentali, dopo aver celebrato come consueto la Messa domenicale del pomeriggio, mentre stava pregando inginocchiato nelle ultime panche della chiesa, il sessantenne sacerdote romano Andrea Santoro venne freddato alle spalle con due colpi di proiettili.

Il presunto omicida è stato arrestato, i vertici politici e religiosi hanno condannato il gesto, la maggior parte dell’opinione pubblica si è dimostrata allibita di fronte ad un simile gesto, noi, sparuta comunità di cristiani, abbiamo pianto sgomenti un nostro amico, testimone e martire. Ora, però, tutto sembra essere tornato ad una tremenda normalità. Anche le guardie del corpo assegnate a diversi sacerdoti dell’Hatay e di Smirne sono state richiamate ad altri incarichi. Eppure noi cristiani turchi non vogliamo e non possiamo lasciare che questo martirio cada invano.

In quei giorni anch’io, come tutti, saltando da un canale all’altro, sfogliando le pagine dei più svariati giornali, in maniera spasmodica ho cercato di capire, di trovare una ragione, un movente, un senso a questa morte così improvvisa e violenta.
Tante sono le cose che si sono dette… ognuno ha espresso il suo parere, la sua rabbia, il suo sgomento, la sua disapprovazione, il suo stupore: mi sono sentita stordita e svuotata. Ora è arrivato il silenzio, che lascia risuonare in me i sentimenti più svariati che ribollono nel cuore e nella mente di una semplice cristiana che cerca di vivere in Turchia, Paese a maggioranza musulmana.


Ero un’adolescente quando tredici anni fa quest’uomo si fermò tra noi la prima volta.


Già allora silenzioso, meditativo, passava le ore nella nostra chiesetta in preghiera. Noi ragazzi – e io non ero neppure cristiana a quei tempi – chiedemmo stupiti al nostro parroco il perché di quelle sue lunghe soste davanti al tabernacolo. Ci rispose che stava chiedendo al Signore di illuminargli la strada. Una possibile venuta in Turchia. Gli facemmo festa il giorno del suo onomastico e lui commosso prima di ripartire per Roma ci salutò: “Insciallah (se Dio vuole), ci rivedremo”.
Ho saputo che andò a Urfa l’anno in cui sono stata battezzata. Ma non l’ho mai più rivisto se non ora, da morto, nelle tante foto riprodotte sui mass media.

Nel passato ci è capitato di sentire echi lontani di preti uccisi, ma si trattava sempre di Paesi lontani, mai avremmo sospettato che sarebbe successo anche qui, in terra di Turchia. Eppure la Turchia, nei tempi remoti è stata terra di grandi martiri. Ce lo ricordano continuamente i numerosi pellegrini che vengono apposta fin qua da tutto il mondo per ricordare le radici della propria fede cristiana. Questa terra è impregnata del sangue di sant’Ignazio di Antiochia, di san Crisostomo, san Babila e tanti altri. Tempo di persecuzioni e di odio verso i cristiani. Sono le loro icone in chiesa a parlarcene. È sul loro sangue e su quello di san Paolo, che tanto ha lavorato per il Vangelo, che è fondata e fecondata la nostra chiesa di Turchia.


Poi le comunità cristiane – quasi non fossero più stesse membra dell’unico corpo di Cristo - sono state dimenticate dall’Occidente, impegnato su altri fronti, e sono cadute nel silenzio. Nel 1846, sappiamo, la Chiesa cattolica di rito latino, che lungo i secoli non aveva mai perso di vista Antiochia, torna in questa nostra città con i frati cappuccini, dopo ben oltre sette secoli dalla partenza dei crociati. Il primo ad arrivarci fu l’italiano padre Basilio Galli. Instancabile, attivo, si conquistò la simpatia della gente; aprì una cappella e una piccola scuola. La lapide all’ingresso della nostra chiesa ci ricorda che pagò con la vita il suo zelo da pioniere: fu martirizzato il 12 maggio 1851. Sgozzato in chiesa da dietro le spalle da due assassini, subito dopo avere celebrato la Messa del mattino. Primo martire in Turchia dei tempi moderni. Dopo 155 anni, il secondo: stesso zelo, stessa dinamica, stessa passione.


Il sangue del martirio feconda la terra. Ci dicono che ora, in Turchia, la comunità cristiana ad Antiochia è la più viva, la più dinamica e aperta nel dialogo e nell’ecumenismo. Cosa ne sarà, allora, di quella di Trabzon, un tempo fiorente, ma ora ridotta ai minimi termini?

Il nostro parroco ci spiega che don Andrea è ricordato come una persona che si è data da fare per i poveri, per le prostitute, per i diseredati. In Italia era molto impegnato nel sociale e aveva fatto costruire varie strutture per i bisognosi. Sappiamo bene che qui si può fare ben poco. Si aiuta qualcuno quando si può e come si può, ma non credo che fosse questo a riempire di senso la giornata di don Andrea.


Guardando i nostri preti, le nostre suore che hanno lasciato tutto il loro mondo per venire da noi, - ma perché sono così pochi quelli che decidono e hanno la forza di stare quaggiù? - mi chiedo come possono restare. Qui si sperimenta l’aridità, l’inefficienza – rispetto a parametri occidentali – una vita povera, priva di successi immediati: è solo la fede che sostiene e giustifica una presenza così.


L’altra sera, al nostro settimanale incontro di preghiera ci è stato letto uno spezzone dell’ultima lettera di don Andrea rivolta ai suoi amici italiani: «Voi e la Turchia: chi mi avrebbe detto anni fa che avrei unito nel mio cuore amori così distanti? Voi e il Medio Oriente: chi mi avrebbe detto che avrei "portato in grembo", come si dice di Rebecca, due "figli" che "cozzano tra di loro" (Gen. 25,22), pur essendo fratelli nello stesso Abramo? Una madre sa che i suoi figli non si dividono in lei anche se sono divisi tra loro. Così accade anche a me. Avverto in me motivi per amare e gli uni e gli altri, motivi per tenerli serrati nello stesso "calice" e radunati ai piedi della stessa croce. Ma avverto anche delle lontananze tra loro, pur corrette, ma a volte solo camuffate, da dichiarazioni di amicizia, di rispetto e di collaborazione, a volte invece davvero lenite da sforzi sinceri fatti da più parti per capirsi, accettarsi, offrire ognuno il proprio patrimonio e scoprire quello dell'altro. Altre volte ho l'impressione che questi mondi non si parlino in profondità, ma facciano come quelle coppie che parlano solo di spesa, di bollette, di mobili da spostare e di salute dei figli e si illudono di comunicare e invece diventano sempre più estranei».


E lui ha voluto stare nel mezzo, essere con la sua vita elemento di riconciliazione: tutto ciò ci ha scosso profondamente. Qualcuno ha voluto dare la vita per noi, cristiani “inesistenti”, per molti. E poi più avanti scrisse: «Dopo una prima fase di residenza a Urfa-Harran, conclusasi qualche settimana fa con la chiusura della “casa di Abramo" e il trasloco definitivo a Trabzon e dopo la seconda fase conclusasi con il completamento dei lavori di restauro della chiesa di Trabzon, è iniziata una terza fase tutta avvolta ancora nell'oscurità, in attesa che Dio ci indichi le sue vie. Questa attesa è fatta di silenzio, di preghiera, di speranza, di intima disponibilità a quello che Dio vorrà, di umiltà nell'accettare la povertà di risorse, di persone, di strumenti, di capacità personali. In questa fase, rileggo il passato della missione, scruto il presente, rivado agli inizi della chiesa a Gerusalemme, ascoltiamo le Scritture, cerchiamo di capire meglio il mondo da cui veniamo e il mondo dove siamo arrivati, cerchiamo di renderci accoglienti quanto più possibile».

Cosa faceva dunque a Trabzon? Era in attesa.


Allora perché in Italia su alcune prime pagine dei giornali fu proclamato come un eroe??? Un eroe combatte, lotta con violenza, si ribella con le armi, vuole la giustizia a tutti i costi, si difende e vince ammazzando il nemico. A me pare che, secondo la logica umana, don Andrea sia proprio la figura dell’ anti-eroe.


Non era neppure un santo, ci dicono. Di quelli che spesso ci immaginiamo noi sulle immaginette: languidi, sdolcinati, sempre accondiscendenti e sorridenti. Aveva un carattere energico, deciso, a volte persino brusco, il volto risoluto, non ammetteva compromessi… pare di sentire riecheggiare quel “e indurì il suo volto deciso verso Gerusalemme” con cui Luca descrive Gesù.


Una suora amica ci ha rivelato che prima di rientrare in Turchia questo fine gennaio le aveva telefonato da Roma confidandogli: «Lo sai, prega per me, sento che sto dando fastidio a Satana…». Una settimana dopo è stato ammazzato, nel nome di Dio. Perché?

La sua morte ci ha risvegliato dal torpore delle nostre coscienze, ci sta ricordando cosa vuol dire morire per amore. Ci ha ricordato che il cristiano è un personaggio scomodo, che si vuole togliere di mezzo, eliminare. E se non è così, non può essere vero discepolo di Gesù.


Ma dopo la morte viene la Vita.


La Chiesa di Turchia, forse aveva bisogno di ciò.


Noi, forse, avevamo bisogno di ciò.


La sua morte ci ha sgomentato, ma ci dà una nuova forza, una nuova speranza, una nuova dritta. Ci insegna l’amore. Quell’Amore per cui io ho chiesto il battesimo, andando anche contro il parere della mia famiglia.

Da lassù abbiamo un nuovo protettore e intercessore.


Anche voi, per favore, non dimenticatevi di noi, non lasciateci soccombere dalla stupidità della gente. Non associatevi a coloro che, per gioco o per scherzo, in nome di un’ottusa libertà, mettono a repentaglio la vita dei fratelli lontani.

Lui ha scelto di stare dalla nostra parte. Con gli innocenti e gli indifesi. Senza ribellarsi. Fino in fondo. Per amore di Dio e dei fratelli. Questo è martirio. Questa è la morte che genera Vita.




Una cristiana turca


I fili d’erba crescono anche nella steppa

alle 09:30
Lultima lettera di don Andrea Santoro, resa nota dalla sorella Maddalena

Oggi posto lultima lettera scritta da don Andrea Santoro martirizzato a Trabzon, in Turchia, esattamente un anno fa, il 5 febbraio 2006. Lha resa nota sua sorella Maddalena che lha consegnata ad Avvenire. La lettera, terminata circa 10 giorni prima di venire ucciso ed indirizzata a tutti gli amici, è stata pubblicata sulle pagine di Avvenire il 5 marzo 2006.



Carissimi,

voglio cominciare con delle cose buone, perché è giusto lodare Dio quando c il sereno, e non soltanto invocare il sole quando c la pioggia. Inoltre è giusto vedere il filo d'erba verde anche quando stiamo attraversando una steppa.

Ecco dunque alcuni fili d'erba verde. Qualche giorno prima di rientrare in Italia, nell'ora della visita in chiesa si è presentato un folto gruppo di ragazzi piuttosto vocianti e rumorosi. Ci sono abituato: per ottenere silenzio e rispetto basta avvicinarsi, ricordare loro che la chiesa è, come la moschea, un luogo di preghiera che Dio ama e in cui si compiace. Un gruppetto di 4-5 ragazzi, sui 14-15 anni mi si sono avvicinati e hanno cominciato a farmi domande: «Ma sei qui perché ti hanno obbligato?». «No, sono venuto volentieri, liberamente». «E perché?». «Perché mi piace la Turchia. Perché c'era qui una chiesa e un gruppo di cristiani senza prete e allora mi sono reso disponibile. Per favorire dei buoni rapporti tra cristiani e musulmani». «Ma sei contento?» (hanno usato la parola mutlu che in turco vuol dire felice). «Certo che sono contento. Adesso poi ho conosciuto voi, sono ancora più contento. Vi voglio bene». A questo punto gli occhi di una ragazza si sono illuminati, mi ha guardato con profondità e mi ha detto con slancio: «Anche noi ti vogliamo bene». Dirsi «ti vogliamo bene», dentro una chiesa, tra cristiani e musulmani mi è sembrato un raggio di luce. Basterebbe questo a giustificare la mia venuta. Il regno dei cieli non è forse simile a un granellino di senape, il più piccolo di tutti i semi?

Lo getti e poi lo lasci fare…E non è forse vero che «se ami conosci Dio» e lo fai conoscere e se non ami, quand'anche possedessi la scienza o parlassi tutte le lingue, o distribuissi i beni ai poveri, non sei nulla ma solo un tamburo che rimbomba?

Un altro filo d'erba. Una sera verso gli inizi di dicembre, ero in strada con il mio pulmino. Dovevo girare, ho messo la freccia e ho cominciato a voltare. Veniva una macchina velocissima. Ha dovuto frenare per non investirmi. Uno è sceso e ha cominciato a urlare. Conoscendo l'irascibilità dei turchi, soprattutto se sono ubriachi, ho proseguito, temendo brutte intenzioni. Mi sono accorto che mi inseguivano. Arrivato in piazza mi hanno sbarrato la strada. Mi sono trovato con la portiera aperta, uno che mi ha sferrato un pugno, un altro che mi strappava dal sedile e l'altro ancora che voleva trascinarmi.

Ho portato il segno di quel pugno per qualche giorno e la spalla, tirata, che a volte mi fa ancora male. È intervenuta la polizia: erano ubriachi ed è stato fatto un verbale a loro carico. Me ne sono tornato a casa stordito, chiedendomi come si potesse diventare delle bestie. Mi sono venuti in mente i litigi in cui ci scappa un morto, le violenze fatte a una ragazza sola, il divertimento sadico ai danni di qualche povero disgraziato. Devo dirvi la verità: ho avuto paura e per qualche notte non ho dormito. Continuavo a chiedermi: perché? Come è possibile? Una settimana dopo, verso sera, hanno suonato al campanello della chiesa. Sono andato ad aprire, erano tre giovani sui 25-30 anni. Uno mi ha chiesto: «Si ricorda di me?». Ho guardato bene e ho riconosciuto quello che mi aveva tirato per la spalla. «Sono venuto a

chiederle scusa. Ero ubriaco e mi sono comportato molto male. Padre mi perdoni». «Va bene, gli ho

detto, stai tranquillo. Ma non farlo più, per chiunque altro». Poi mi hanno chiesto di visitare la chiesa.

Continuava a chiedermi scusa ad ogni passo. Ha visto una pagina del vangelo esposta nella bacheca:

«Amate i vostri nemici» e allora ha capito perc lo avevo perdonato. Poi mi fa: anche da noi c un

detto: «Getta i fiori a chi ti getta i sassi». Quindi ha continuato: «Abbiamo avuto un incidente qualche giorno dopo che l'avevamo picchiata. La macchina è rimasta distrutta, uno è ancora in ospedale e noi due siamo ammaccati. Da noi si dice che se uno fa del male a una persona e poi muore non può presentarsi a Dio. Perché Dio gli dice: è da quella persona che dovevi andare. Da voi padre è la stessa cosa?». «Anche noi diciamo che non basta rivolgersi a Dio, ma che bisogna riparare il male fatto

al prossimo. Diciamo però anche che se l'innocente offre il suo dolore per il colpevole, questo ottiene da

Dio il perdono per chi ha fatto il male, come Gesù che ha offerto la sua vita innocente per salvare i peccatori. Gesù si è fatto agnello per i lupi che lo sbranavano e ha pregato: Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno. Con la sua croce ha spezzato la lancia». A quel punto hanno guardato la croce. Il terzo che era con loro era un mio vicino di casa, che aveva loro indicato la chiesa e si era fatto loro mediatore. Era felice di mostrare loro la chiesa e di aver ottenuto la riconciliazione col prete che conosceva. C'è scappato anche un invito a cena, al ritorno dall'Italia. Vedremo se il pugno ha fruttato anche un bel piatto di agnello arrosto!

Qualche altro filo d'erba? Un venerdì in chiesa un gruppo di ragazzi è stato particolarmente maleducato

e strafottente. Altri tre, più grandi, assistevano da lontano. Alla fine mi hanno chiesto di parlare. Con

molta educazione hanno fatto ogni genere di domande, ascoltando con rispetto le mie risposte e facendo con garbo le loro obiezioni. Ci siamo salutati. La mattina seguente un giovane ha suonato: ho riconosciuto uno dei tre. Mi ha consegnato dei cioccolatini: «Padre, accetti il mio regalo. Le chiedo scusa per quei ragazzi maleducati di ieri».

Un'altra volta entrano due ragazze: «Padre mi riconosce?», mi fa una. «Si, certo!». «Lei una volta mi ha detto che Gesù non ha mai usato la spada, è così?». «Sì, è così». «Maometto - mi fa - l'ha usata è vero,

ma solo come ultima possibilità…». «Gesù - le rispondo - neanche come ultima possibilità. Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi, disse, e lui stesso s fatto agnello per guadagnare i lupi. Se contro la violenza usi la violenza si fa doppia violenza. Male p male uguale doppio male. Ci vuole il doppio di bene per arginare il male. Se scoppia un incendio che fai? Butti legna?». «No, acqua». «Ecco, appunto. Ma non è facile. Questo però è il vangelo. Nelle mani di Gesù non c'è la spada,

ma la croce». Mi ha seguito attenta, ma frastornata. Perché mi meraviglio? Quanti cristiani sono non

solo frastornati, ma neppure guardano più la croce? Non colgono più la sapienza, la forza, la vittoria della croce. Si sono convertiti alla spada: nella vita pubblica e in quella privata. Se lo fa un musulmano

in fondo non è strano: segue il suo fondatore. Ma se lo fa un cristiano non segue il proprio Fondatore, anche se ha croci da ogni parte, al collo, in casa e su ogni campanile.

Un altro filettino verde delicato. Sullaereo, di ritorno da una riunione col vescovo a Iskenderun, cerano accanto a me due anziani coniugi e una giovane ragazza, elegante e carina. I due anziani erano piuttosto malmessi e inesperti. La ragazza con molta delicatezza ha sistemato ad entrambi la cintura, si è piegata a terra a raccogliere alcune cose cadute, si è prodigata in ogni modo, non con rispetto ma con venerazione. Lui continuava a sgranare il suo rosario musulmano, accompagnando le mani con le labbra che pronunciavano i 99 nomi di Dio. Lei al suo fianco, muta e col velo sul capo, dava lidea di sentirsi contenta accanto al suo bravo marito in preghiera.

Ora vi faccio intravedere qualcosa della steppa in cui mi è faticoso a volte camminare, ma in cui volentieri do tutto me stesso, cercando di essere io stesso un filo derba, anche se a volte mi sento una rosa piena di spine pungenti. Quando avverto che per difendermi dalle spine tiro fuori le mie, mi rimetto sotto la croce, la guardo e mi ripropongo di seguire il «mio» Fondatore, quello che non usa né la spada né spine, ma ha subìto e luna e le altre per spezzare la spada e toglierci le spine del risentimento, dellinimicizia, dellostilità. Gli chiedo di farmi grazia del «suo» Spirito per tenere a bada il mio.


Cominciamo dai bambini. Accanto a quelli sorridenti, affettuosi, rispettosi si è intensificato in questi ultimi mesi un nugolo di lanciatori di sassi, di disturbatori, di «piccoli provocatori» di ogni genere. I bambini sono lo specchio del mondo degli adulti. A casa, a scuola, in televisione si dicono spesso di noi cristiani bugie e calunnie. Il risultato non può che essere lo scherno di quei «piccol che Gesù voleva a sé ma di cui metteva in guardia quanti li «scandalizzan cioè quanti sono per essi

«motivo di inciampo e di induzione al male». Mi sono ricordato di quando da bambino sentivo

«parlare male» dellunica famiglia protestante del mio paese o di quando sentivo dire che «tutti i turchi

fanno cose turche». Il male che si riceve, a volte ti rimette sotto gli occhi il male fatto anche se dimenticato. In altri momenti mi tornano in mente le parole di Giobbe sofferente, figura della passione

di Gesù: «Tutto il mio vicinato mi è addosso anche i monelli hanno ribrezzo di me mi danno la baia» (Giobbe 18,7 e 19,18). Stiamo studiando una strategia ancora maggiore di affabilità e

accoglienza, di silenzio, di sorriso, di persuasione.

Una famiglia di musulmani diventati cristiani prima che io arrivassi a Trabzon, mi ha parlato del pianto dei suoi bambini a scuola quando si diceva ogni sorta di male dei cristiani. Ne hanno parlato con linsegnante ricevendo le scuse e un impegno di maggiore onestà e correttezza.

Un padre di famiglia, registrato musulmano sul documento di identità (in Turchia sulla carta di identità è annotata la religione), desidera ritornare alla fede cristiana dei suoi antenati. Ma si scontra con gli insulti e le minacce di alcuni del suo villaggio. «Se mi assalgono e io rispondo sono ancora cristiano?», mi chiedeva preoccupato e pensoso. «Sì gli rispondevo perché il Signore capisce

la tua debolezza. Ma ricordati che a noi cristiani non è lecito locchio per occhio e dente per dente. Noi

siamo discepoli di Colui che porta le piaghe su tutto il suo corpo e che ha detto a Pietro: Rimetti la spada nel fodero. Contro il peccato Gesù ha eretto come baluardo il suo corpo sacrificato e il suo sangue versato. Il cristianesimo è nato dal sangue dei martiri, non dalla violenza come risposta alla violenza".

Un giovane che per motivi sinceri e retti si era accostato alla chiesa non ha resistito allostilità degli amici, dei familiari, dei vicini di casa e alle «premure» della polizia che pur garantendogli piena libertà («la Turchia è uno stato laico, sei libero», gli hanno detto) gli chiedeva comunque perché andava, cosa accadeva in chiesa e se conosceva tizio e caio...

Una signora cristiana di nazionalità russa, sposata con un musulmano e madre di un bambino, mi raccontava le angherie della suocera, il disprezzo dei parenti perché «pagana e idolatra», e le ripetute spinte a divenire musulmana. Appena ha letto, entrando in chiesa, una frase scritta in russo, gli si è rischiarato il volto. Le ho dato una Bibbia in russo e altri libri di preghiera sempre in russo. Si è sentita finalmente «liber e davvero «sorella».

Consentitemi ora una riflessione a voce alta, alla luce di quanto vi ho raccontato. Si dice e si scrive spesso che nel Corano i cristiani sono ritenuti i migliori amici dei musulmani, di essi si elogia la mitezza, la misericordia, lumiltà, anche per essi è possibile il paradiso. È vero. Ma è altrettanto vero il contrario: si invita a non prenderli assolutamente per amici, si dice che la loro fede è piena

di ignoranza e di falsità, che occorre combatterli e imporre loro un tributo… Cristiani ed ebrei sono ritenuti credenti e cittadini di seconda categoria. Perché dico questo? Perché credo che mentre

sia giusto e doveroso che ci si rallegri dei buoni pensieri, delle buone intenzioni, dei buoni comportamenti e dei passi in avanti, ci si deve altrettanto convincere che nel cuore dellIslam e nel cuore degli stati e delle nazioni dove abitano prevalentemente musulmani debba essere realizzato un pieno

rispetto, una piena stima, una piena parità di cittadinanza e di coscienza. Dialogo e convivenza non è

quando si è daccordo con le idee e le scelte altrui (questo non è chiesto a nessun musulmano, a nessun

cristiano, a nessun uomo) ma quando gli si lascia posto accanto alle proprie e quando ci si scambia come dono il proprio patrimonio spirituale, quando a ognuno è dato di poterlo esprimere, testimoniare e immettere nella vita pubblica oltre che privata. Il cammino da fare è lungo e non facile. Due errori credo siano da evitare: pensare che non sia possibile la convivenza tra uomini di religione diversa oppure credere che sia possibile solo sottovalutando o accantonando i reali problemi, lasciando da parte i punti su cui lo stridore è maggiore, riguardino essi la vita pubblica o privata, le libertà individuali o quelle comunitarie, la coscienza singola o lassetto giuridico degli stati.

La ricchezza del Medio Oriente non è il petrolio ma il suo tessuto religioso, la sua anima intrisa di fede, il suo essere «terra santa» per ebrei, cristiani e musulmani, il suo passato segnato dalla

«rivelazione» di Dio oltre che da unaltissima civiltà. Anche la complessità del Medio Oriente non è legata al petrolio o alla sua posizione strategica ma alla sua anima religiosa. Il Dio che «si rivela» e che

«appassionatamente» si serve è un Dio che divide, un Dio che privilegia qualcuno contro qualcun altro e autorizza qualcuno contro qualcun altro. In questo cuore nello stesso tempo «luminoso», «unico» e

«malato» del medio oriente è necessario entrare: in punta di piedi, con umiltà, ma anche con coraggio.

La chiarezza va unita allamorevolezza. Il vantaggio di noi cristiani nel credere in un Dio inerme,

in un Cristo che invita ad amare i nemici, a servire per essere «signor della casa, a farsi ultimo per risultare primo, in un vangelo che proibisce lodio, lira, il giudizio, il dominio, in un Dio che si

fa agnello e si lascia colpire per uccidere in sé lorgoglio e lodio, in un Dio che attira con lamore e non domina col potere, è un vantaggio da non perdere. È un «vantaggio» che può sembrare

«svantaggioso» e perdente e lo è, agli occhi del mondo, ma è vittorioso agli occhi di Dio e capace di conquistare il cuore del mondo.

Diceva S.Giovanni Crisostomo: Cristo pasce agnelli, non lupi. Se ci faremo agnelli vinceremo, se diventeremo lupi perderemo. Non è facile, come non è facile la croce di Cristo sempre tentata dal fascino della spada. Ci sarà chi voglia regalare al mondo la presenza di «questo» Cristo? Ci sarà chi voglia essere presente in questo mondo mediorientale semplicemente come «cristiano», «sale» nella minestra, «lievito» nella pasta, «luce» nella stanza, «finestra» tra muri innalzati, «ponte» tra rive opposte, «offerta» di riconciliazione? Molti ci sono ma di molti di più cè bisogno. Il mio è un invito oltre che una riflessione. Venite!

Vi lascio ringraziandovi dellaccoglienza nelle tre settimane trascorse a Roma. Desidero ringraziare in particolare i tanti parroci romani e i responsabili di varie realtà studentesche che mi hanno invitato a tenere degli incontri o delle testimonianze.

Ringrazio Dio per quanti hanno aperto il loro cuore. Ma sia ancora più aperto e ancora più coraggioso.

La mente sia aperta a capire, lanima ad amare, la volontà a dire «sì» alla chiamata. Aperti anche quando il Signore ci guida su strade di dolore e ci fa assaporare p la steppa che i fili derba. Il dolore vissuto con abbandono e la steppa attraversata con amore diventa cattedra di sapienza, fonte di ricchezza, grembo di fecondità. Ci sentiremo ancora. Uniti nella preghiera vi saluto con affetto. Potete scrivere i vostri pensieri, fare le vostre domande, esprimere le vostre proposte. Insieme si serve meglio il Signore.

don Andrea, Trazbon 22 gennaio 2006



 













Il deserto fiorirà! | Powered by Blogger | Posts (RSS) | Comments (RSS) | Designed by Tangalor | XML Coded By Cahayabiru.com